La mano sul cuore. Le diverse origini e funzioni degli inni nazionali europei e americani
Nel 1797, pubblicando le sue memorie, André Grétry notava come nella musica del tempo fosse penetrato un “élan terrible”, un accento di terribilità dettato dalla nuova epoca uscita dalla Rivoluzione francese. Era la sensazione di essersi lasciati alle spalle l’“ancien régime” con tutta la sua cerimoniosità e l’equilibrio rassicurante dei suoi convenevoli e di aver liberato forze misteriose.
Partenza dei volontari nel 1792, La Marsigliese. Rilievo, Arco di Trionfo, Parigi
Nel 1797, pubblicando le sue memorie, André Grétry notava come nella musica del tempo fosse penetrato un “élan terrible”, un accento di terribilità dettato dalla nuova epoca uscita dalla Rivoluzione francese. Era la sensazione di essersi lasciati alle spalle l’“ancien régime” con tutta la sua cerimoniosità e l’equilibrio rassicurante dei suoi convenevoli e di aver liberato forze misteriose. In verità il popolo, nel momento stesso dell’emancipazione (in cui conquistava la sovranità), giungeva a confrontarsi con la prospettiva di aver messo in moto un meccanismo fatale che, nello stesso momento in cui spalancava orizzonti di progresso, lasciava presagire oscure immagini di sacrificio e di morte. L’evocazione del sangue, della guerra, ne La marseillaise è eloquente, e tanto più lo è quanto più la ritroviamo nei testi e nelle musiche deli inni nazionali e patriottici ottocenteschi. Hector Berlioz, il maggiore erede della Rivoluzione francese tra i musicisti, le rispecchia nelle sue composizioni in generale e in particolare nella Symphonie funèbre et triomphale dedicata alle vittime della Rivoluzione del 1839, unendo marcia funebre, preghiera e apoteosi degli eroi.
Hector Berlioz, Symphonie funèbre et triomphale. Museo Hector Berlioz, Parigi.
Illustrazione di Jean Ignace Isidore Gérard su L'illustration,15 Novembre 1845
Ma l’immagine della nazione come drammatica e cupa rappresentazione riguarda l’Europa tutta, anche nell’epoca della Restaurazione. I cori dei cacciatori del Freischütz (1821) di Carl Maria von Weber, a cui si fa risalire l’identità nazionale tedesca in musica, non riescono infatti a nascondere un carattere guerresco, che ritroviamo anche negli Jagdlieder op. 137 di Robert Schumann, dove un verso esalta il “deutsches Jägerblut” prefigurando addirittura la devastante ideologia del “Blut un Boden”. L’idea di popolo e nazione in Europa evidenzia il risvolto tragico della vita e gli inni in musica lo registrano, siano essi i sacrali momenti epici individuati da Wagner (si veda il coro degli ospiti della corte di Turingia nel Tannhäuser), o i trasporti alla bersagliera dell’innodia italiana apparentemente gioiosa ma non per questo meno minacciosa (come indicano i primi versi dell’Inno di Garibaldi (“Si scopran le tombe, si levino i morti”).
La situazione è completamente diversa in America, in cui l’identità musicale è nata intorno agli inni patriottici. Il patrimonio culturale-musicale dell’americano si individua nella Yankee Doodle, in Hail Columbia e nella ricca innodia sviluppatasi durante la guerra civile. Ciò significa che l’inno patriottico non vi è percepito come un fatto sacrale separato dalle altre attività, bensì come una realtà domestica. Lo testimonia eloquentemente la bandiera nazionale che in Europa è issata solo sui pennoni e sugli edifici rappresentativi e che negli Stati Uniti troviamo nell’ufficio di qualsiasi pubblico funzionario e nelle aule scolastiche. Ne deriva musicalmente un uso degli inni in certo qual modo dissacrato, ridotto a pratica familiare. Ciò non significa irriverenza, bensì la sostituzione all’europeo “élan terrible” di uno “slancio vitale” che ha consentito a Charles Ives di aprire prospettive sperimentali nel modo in cui ha miscelato i vari inni americani nella sua Holiday Symphony (1904-1913), penetrando con altrettanta audacia combinatoria nella commedia musicale di George Gershwin (Let’em eat cake, 1933), cioè nella più dichiarata quotidianità.