CARDILLAC
La prima presentazione dell’opera di Paul Hindemith il 9 novembre del 1926 ebbe una risonanza enorme, sulla spinta certamente della rinascita d’interesse per il teatro musicale moderno che le istituzioni teatrali tedesche in quegli anni coltivavano con preciso senso di responsabilità sociale e culturale legato alla politica progressista della Repubblica di Weimar: basti dire che lo stesso anno della prima a Dresda, altri 17 teatri presentarono Cardillac nel loro cartellone.
D’altra parte il musicista stesso vi si era preparato meticolosamente. Pur avendo alle spalle piccoli lavori di teatro musicale, era alla musica da camera che si era soprattutto dedicato fino ad allora, cioè al campo che vedeva convergere l’interesse ‘sperimentale’ dei giovani compositori d’allora. Il passaggio al grande teatro veniva in quel momento a significare in un certo senso la promozione di quegli interessi presso un pubblico più vasto e in un certo senso «ufficiale». In una lettera al suo editore del 4 aprile 1924 egli scriveva: «In qualunque posto capiti si suonano cose mie, la musica da camera è dunque già bene avviata. Ciò che ancora manca ora è la giusta opera teatrale». L’approdo al teatro fu dunque opportunamente calcolato.
V’è quindi da supporre che la scelta del libretto non sia stata né istintiva né casuale. Ciò va detto in quanto proprio su questo aspetto si è sempre appuntata l’attenzione della critica confrontata con il paradosso dell’evocazione di torbida fantasia romantica (il soggetto proviene da un racconto di E.T.A. Hoffmann) inquadrata in un impianto musicale regolato in strutture formali di assoluta chiarezza costruttiva, esaltate nel razionalistico assetto di forme chiuse (arie con da capo, duetti, concertati modellati secondo dichiarata concezione «neobarocca»).
Il nodo critico del Cardillac è sempre stato costituito da tale divergenza tra il funzionamento da «Musikoper» (di opera assoggettata all’impersonalità di regole di sviluppo puramente musicali) e la natura della vicenda che il librettista Ferdinand Lion ha ricavato da Hoffmann, cioè la storia dell’orafo Cardillac che non si rassegna a separarsi dalle proprie opere d’arte e che non esita a giungere al delitto pur di reimpossessarsi delle proprie creazioni.
Ci si è sempre chiesti cioè quale possibile rapporto di parentela dovesse esserci tra tale immaginario demoniaco di oscura derivazione romantica e la ricerca dei fondamenti oggettivi del fare artistico alla base dell’estetica hindemithiana e dell’avanguardia musicale tedesca in generale.
Paul Hindemith, Fritz Buch e Issai Dobrowen alla prima mondiale di Cardillac, Dresda (1926)
Una risposta potrebbe essere individuata nel richiamo ai modelli rappresentativi di certo cinema tedesco di quegli anni (Il gabinetto del Dottor Caligari, Nosferatu, ecc.), cioè al perdurare di modelli tardoespressionistici. Considerando il fatto che Hindemith ha sempre inteso il proprio lavoro come realtà inquadrata nella funzionalità della comunicazione e che l’approdo al teatro significava il confronto con un pubblico in un certo senso «di massa» (certamente meno responsabilizzato rispetto alle ristrette cerchie di frequentatori della musica cameristica, nei confronti dei traguardi formali della nuova musica), Cardillac può essere vista appunto come opera ambivalente e pour cause, rivolta all’immaginario collettivo del tempo nell’evidenziazione delle forze oscure che muovono il protagonista e, dall’altra, aperta sulla prepotenza dei valori musicali individuati in un’autonomia che formalizza l’espressione depurandola dal peso della contingenza e dalla caratterizzazione scenica.
Paul Hindemith
Sennonché proprio l’esaltazione di tale autonomia si collega al nucleo fondamentale della vicenda di Hoffmann, cioè all’idea dell’artista esclusivamente determinato nelle sue azioni dalla logica dettata dalla propria opera («Io ricevo la mia forza dalle mie opere, e in cambio vi prodigo tutta la mia forza») che, al di là dell’occasionalità delle azioni criminali messe in opera per assicurarsene il controllo, si rivela come il principio fondamentale che guida la vocazione «sperimentale» dell’arte nuova. In questo senso Cardillac, dietro il paravento del proprio formalizzante apparato musicale, si svela come perfetta opera ideologica, come metafora dell’artista moderno.