• Diario d'ascolto
  • 10 Maggio 2016

    Architettura della passione

      Carlo Piccardi

    Nella definizione del ruolo assunto da Petrassi nell’ambito della musica moderna italiana si è troppo presto indugiato a delimitare la componente «neoclassica» del suo stile,

    secondo la diffusa e ben nota visione dialettica della problematica artistica contemporanea, che all’impegno morale sotteso alle operazioni espressionistiche di lacerazione del linguaggio ha opposto l’abdicazione consolatoria delle esperienze che hanno mirato a una ricerca formale garantita dalla solidità dei riferimenti al passato.

    Ora, se l’avvio dell’attività petrassiana (dalla nota Partita in poi) ha preso evidenza in un contesto culturale che nel periodo tra le due guerre ha segnato l’esigenza dei ritorni alla tradizione, la sua evoluzione posteriore è un lungo cammino di acquisizioni che hanno aperto orizzonti ben diversi al rinnovamento stilistico e che hanno portato l’attivissimo compositore a misurarsi efficacemente con i raggiungimenti conseguiti dalle generazioni più giovani.

     PETRASSI-POSTER 

    A prima vista verrebbe da paragonare la sua estrema disponibilità alle mutazioni a quanto Stravinsky riuscì a compiere fino agli ultimi anni, giungendo addirittura ad assimilare modi e concetti propri di quell’altra sponda della musica moderna che, da Schönberg ai postweberniani, è sempre stata vista in antitesi con le tendenze formalistiche e ai compiacimenti del fare artigianale.
    In realtà, nel caso di Petrassi, occorre tener presente l’àmbito culturale italiano in cui si situa, innanzitutto per capire il significato della vocalità che occupa una parte non indifferente della sua produzione e in secondo luogo poiché la musica italiana del Novecento, nel fervore della riscoperta della civiltà strumentale messa in ombra dalla lunga consuetudine melodrammatica, in fondo non si è mai irrigidita nella severità delle scelte stilistiche.

     GofPetrassi

    La sua spiccata tendenza implicante un astratto costruttivismo compositivo non può quindi essere immediatamente posta a confronto con l’indifferenza espressiva propria dei procedimenti ‘neoclassici’. Il riferimento a Stravinsky vi è presente senza necessariamente indurre in operazioni di parodia, mentre la solidità dell’impianto contrappuntistico ricorda Hindemith per la serrata consequenzialità con cui i princìpi compositivi sono messi in opera, ma non si esaurisce nella sua soddisfatta aspirazione all’ordine.

      PETRASSI-SECONDO CONCERTO PARTITURA

    Il Secondo Concerto per orchestra (1951), il quale più che non il Primo (1933-34) pone le basi di un sinfonismo adattato a principî moderni, inizia su un lento contrappunto spaziante in zone metafisiche vicine alle altezze ideali tramandateci da Bartok venendo subito ricondotto in regioni dove l’astratto tematismo accoglie tensioni che si aprono a empiti di passione melodica.
    Così il monocolore degli archi non si compiace nella trasparenza delle trame e presto giunge a surriscaldarsi nell’intervento di movimenti concertanti che impegnano ottoni e legni in una dimensione aperta a divagazioni di fantasia.
    Ce lo conferma soprattutto l’impianto ritmico che evita magistralmente di scivolare nel vizioso ed ansimante ‘ritmo ferroviario’ assecondato più o meno da tutti i ‘neoclassici’, capace di riformularsi ogni volta in guise diverse a confermare la funzione del contrasto in una forma alla cui base sta l’invenzione.

       PETRASSI-IL CORDOVANO

    La forma vi appare sempre come risultato e non mai come punto di partenza dell’invenzione e ciò spiega la facilità del musicista ad assimilare e impiegare nei concerti posteriori soluzioni linguistiche avanzate e apparentemente estranee alla cultura in cui il musicista è venuto a formarsi.
    Il suo bisogno di architettura ha saputo rompere fin dagli inizi con i modelli di ‘frenesia motoria’ che altrove hanno portato a risultati di gelida ispirazione.
    Nella concezione del musicista resta comunque accertata l’esigenza di solide garanzie architettoniche alla composizione, il cui vigore formale non è conseguito al prezzo della rinuncia alle istanze ‘espressive’ ma si realizza in un contesto vibrante fra psicologiche attese ed evocazioni. Ciò che a prima vista potrebbe sembrare spuria intrusione, quale la memoria di lontani canti della campagna romana nel Secondo Concerto, non è altro che l’evidenza di un principio per il quale la forma, pur significando lo scopo ultimo, è riportata a premesse vitali.
    All’architettura dell’astrazione Petrassi oppone quella della passione, conseguendo un modello che alla coerenza non sacrifica l’impegno di svelare il palpitante iter umanistico che sta alla base.

     PETRASSI-4