Brahms cameristico
Rispetto alla prorompente presenza di Liszt e di Wagner nel panorama musicale romantico dell’Ottocento, Brahms si rivela figura altrettanto programmatica incarnandone il rovescio della medaglia.
Balza infatti subito agli occhi come nel suo iter compositivo sia del tutto assente il genere a cui principalmente si mirava per l’affermazione nella scena artistica: l’opera teatrale, così come l’estroversa manifestazione del virtuosismo pianistico. Viceversa il filo che lega con costanza e continuità le sue fasi creative è rappresentato dalla musica da camera nelle sue declinazioni rappresentate dai pezzi pianistici, dalla liederistica e dalle ristrette formazioni strumentali (sonate a duo, trii, quartetti, ecc.).
Certamente una posizione capitale è detenuta dai concerti e dalle sinfonie, cioè dalle composizioni che più paradigmaticamente si imponevano all’attenzione. Ma, se guardiamo alle date, constatiamo che esse si profilano nel suo stadio avanzato, come tappa che ne segna la maturità e non come strumento emblematico di affermazione. Sul versante cameristico la presenza di Liszt e di Wagner è infatti irrilevante, rappresentando esso il momento creativo più consono all’introspezione, allo scandaglio dell’intimità del sentire che della stagione romantica coglie il grado più profondo del suo fondamento individualistico.
Adolph von Menzel, Clara Schumann e Josep Joachim in concerto -1854
Per ciò che concerne la musica da camera v’è anche un altro fattore di rilevanza, costituito dalla continuità con la tradizione di Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, attraverso cui gli è stato trasmesso un magistero che travalicava lo stesso filone viennese, se è vero che nelle sue prime apparizioni concertistiche Brahms introdusse opere recuperate dal passato anteriore (la Toccata in fa maggiore di Bach, ad esempio), mentre nella sua qualità di direttore dei concerti della Singakademie della capitale asburgica presentò a distanza di più di un secolo l’Oratorio di Natale, varie cantate di Bach, cori di Schütz, manifestando nel contempo il suo interesse per Eccard, Isaac, Lasso, Gabrieli, ecc.
Non per niente Hans von Bülow nella triade dei tre B (Bach-Beethoven-Brahms) riconosceva un percorso che lo elevava come figura in grado di operare una sintesi di portata storica a livello della forma pura.
Tale orientamento apparentemente conservatore rivelava in verità una ricerca che andava oltre il sentirsi partecipe di una tradizione, per affermare i fondamenti di un pensiero compositivo che dettava la linea evolutiva del linguaggio musicale al di là della ragione individuale, nei valori della forma, della sua logica costruttiva, che giustificano la considerazione di cui fu notoriamente gratificato da Schönberg quando lo denominò “Brahms il progressivo”, a riconoscerne la portata nel contributo allo sviluppo della configurazione strutturale della composizione.
E tale rilevanza, proprio per il fatto di essere nutrita da una tensione che andava oltre il tempo, non era affidata alle manifestazioni clamorose chiamate a generare sensazione, ma alla produzione cameristica appunto, nel raccoglimento del privato, di quell’attività diffusa nei paesi tedeschi in cui, nei cenacoli dell’aristocrazia colta e mecenatesca e della borghesia, continuavano ad essere coltivate le forme ‘minori’.
Al di là di casi quali il conte di Hochberg che manteneva al proprio servizio un quartetto d’archi, ciò poteva avvenire anche all’ombra di più appariscenti manifestazioni, quali la Hofkapelle ducale di Meiningen, punto di riferimento dello stesso Brahms per la raffinatezza riconosciuta ai suoi strumentisti.
Per molti anni luogo privilegiato dal compositore fu la casa dell’amico Theodor Billroth, luminare della chirurgia, a cui affidava le sue composizioni che spesso venivano eseguite per un ristretto circolo di competenti dal quartetto di Joseph Hellmesberger, il violinista che interpretò per la prima volta nel 1886 la Sonata op. 100 con il compositore al pianoforte: “Tutta la sonata per violino è di una grazia infinita, come un fanciullo grazioso, così dolce e caro! Da coprire di baci! Hellmesberger la eseguirà con gioia”, gli scriveva l’amico medico. Questo per dire della cerchia in cui prendeva corpo tale repertorio, ispirato dall’individuale sentire ma immediatamente verificato nel suo risuonare in ristretta condivisione con menti capaci di accoglierne il messaggio, non solo di emozioni ma anche di valori compositivi che l’apprezzamento di interlocutori diretti incoraggiava a spingere verso più ambiziosi traguardi.
Quartetto Joachim: Joseph Joachim (1. Violino), Robert Hausmann (Violoncello), Emanuel Wirth (Viola) e Heinrich de Ahna (2. Violino).
Al di là del richiamo dell’ultimo tempo della Sonata per violino op. 78 al tema del Regenlied op. 59 n. 3, a rivelare lo stretto rapporto ‘atmosferico’ con il versante vocale della pratica cameristica, Brahms trovava in quel contesto di attenta disponibilità all’ascolto le ragioni per calarsi con rigoroso impegno nel compito compositivo.
Esigente verso se stesso, al punto che questa sua sonata indicata come la prima in realtà è la quarta (le precedenti andarono perse o distrutte), non sarebbe altrimenti comprensibile la determinazione a sviluppare il principio dell’elaborazione motivico-tematica nella serrata logica a cui è sottoposta e che, nella componente costruttivistica che la innerva, pur nutrito di sapienza ereditata dai maestri del passato fa di lui un artista proiettato verso l’avvenire.