CONCORSI MUSICALI
Non so esattamente a quando risalga il primo concorso di esecuzione musicale, ma è un fatto che i concorsi in genere hanno condizionato l’intera vita musicale del Novecento. Il principio del concorso, nel suo far appello alla competitività, sottende un concetto di tipo «sportivo» ed è naturale che si sia imposto come abitudine nella stessa epoca che ha inventato le olimpiadi e le World Series.
Non che una certa dimensione «agonistica» non esista da sempre nella musica, ma è evidente che il concorso musicale, con tanto di giuria, punteggi e premi, è un fenomeno tipicamente moderno. Nei secoli passati tutt’al più potremmo costatare l’occasionalità dei confronti a due, correnti in musica tanto quanto nelle altre discipline del sapere che nelle antiche università cercavano lo stimolo suscitando diatribe tra dotti messi direttamente a confronto su di uno stesso specifico argomento. A tutti è noto il caso di Johann Sebastian Bach invitato a Dresda nel 1717 per un confronto all’organo con Louis Marchand, confronto che in verità non ci fu avendo preferito il celebre organista francese svignarsela di notte anziché affrontare il temibile tedesco. Sulla stessa linea di tradizione si pone un altro celebre confronto, organizzato a Parigi nel 1837 tra Sigismund Thalberg (fino ad allora principe della tastiera) e il giovane Franz Liszt, occasione che consacrò definitivamente la fama e la supremazia di quest’ultimo. E di episodi simili ne potremmo elencare molti a dimostrazione di una dimensione comunicativa della musica rimasta sempre viva nella ricerca della grandezza o addirittura del culto di una personalità. Diversi e anche stravaganti furono tutti questi episodi, ma tutti furono simili nella loro funzione di consacrazione di valori che in fondo erano già conosciuti.
Maurizio Pollini vince il Concorso pianistico internazionale Fryderyk Chopin a Varsavia (1960).
Martha Argerich vince il Concorso pianistico internazionale Fryderyk Chopin a Varsavia (1965).
Ben altra è la situazione dei moderni concorsi. I concorsi di oggi, si sa, riguardano i debuttanti: schiere vastissime di allievi di conservatorio ai quali sempre più si tende a insegnare che il concorso e solo il concorso sia l’unico canale per ottenere l’affermazione come concertista. Affermazione forse un tantino rozza ma senz’altro vera nella misura in cui i concorsi assistono di anno in anno a un aumento progressivo dei candidati e nella misura in cui ogni anno, per motivi vari e per lo più extramusicali, sorgono nuovi concorsi per il fatto di poter contare sull’immancabile materia prima. Non è più quindi con il principio della qualità che abbiamo a che fare, ma con uno strano compromesso tra qualità e quantità che, nel modo in cui sono concepite tali organizzazioni, è inevitabile. Il giudizio espresso infatti, che nel caso citato di Liszt e di Thalberg evidentemente non si limitava a quel concerto memorabile ma coinvolgeva tutta l’attività precedente dei due «mostri sacri», è oggi nettamente inficiato dalla nozione quantitativa che pretende il giudizio determinato da «quella» esecuzione regolamentata in un quarto d’ora, da «quello» e non da un altro «brano d’obbligo», ecc.; il tutto in un anonimato ovviamente inevitabile, ma che tende a spogliare il candidato della sua «storia».
Vladimir Ashkenazy, vincitore del Concorso internazionale Čajkovskij per pianoforte (1962)
Vladimir Sokolov, vincitore del Concorso internazionale Čajkovskij per pianoforte (1966)
Detto questo il lettore potrà già immaginarsi il mio parere sui concorsi musicali. A smussare le punte del giudizio negativo occorre però dire che i concorsi svolgono una funzione democratizzante nella vita musicale di oggi, permettendo costantemente a forze nuove che provengono dal basso di inserirsi in una situazione che altrimenti rischierebbe di essere monopolizzata (come in parte e sotto altre forme ancora avviene oggi) da un’oligarchia artistica. Accetterei questa considerazione se tale passaggio della musica a «sport di massa», come tutti i fenomeni di massificazione, non nascondesse preoccupanti risvolti. Primo fra tutti la rincorsa del successo a tutti i costi che vede iscritti ai concorsi decine per non dire centurie di illusi e di futuri disadattati. V’è poi l’aspetto della priorità abusivamente data al concorso nel predisporre il curriculum del concertista, priorità che oggi condiziona il tipo stesso di formazione musicale di molti giovani, spinti dal condizionamento non già ad approfondire il proprio ruolo professionale ma a prepararsi in funzione delle severe selezioni delle giurie di esperti, che a conti fatti non possiamo non paragonare alle rassegne sportive internazionali che oggi si possono vantare di tenere incollati ai televisori milioni di persone in tutto il mondo.
Immagine di copertina: Franz Liszt e Sigismond Thalberg