Debussy: musica come pittura in divenire
Qualsiasi discorso su Debussy tende a ruotare intorno a una categoria extra-musicale, quella dell’impressionismo, sia che esso venga introdotto da coloro che sottolineano un’effettiva parentela tra il compositore francese e determinate esperienze pittoriche a lui contemporanee sia che l’opportunità della sua collocazione in quest’àmbito di relazioni venga negata da altri.
In realtà tale controversia non si può liquidare semplicemente tracciando paragoni con altre epoche artistiche del passato, dove il tentativo di stabilire corrispondenze stilistiche dirette tra esperienze pittoriche e musicali (manierismo, barocco, rococò, ecc.) può essere risolto nel rilevamento di una comune costante generica, di un semplice atteggiamento di fondo.
La situazione di Debussy è ad esempio fondamentalmente diversa da quella di un Luca Marenzio, i cui tratti che si usa riportare al ‘Manierismo’ non provengono da una diretta riflessione sugli esiti tormentati dell’arte figurativa a lui contemporanea, bensì dall’elaborazione della materia sonora sotto la spinta di una comune coscienza del tempo che organicamente poneva in risonanza attività artistiche di diversa natura inconsapevolmente coinvolte nello stesso processo.
L’orientamento di Debussy, per quanto dipendente dalla sua indole, era soprattutto il risultato di una scelta ragionata, della frequentazione assidua della poesia simbolista e dell’attenzione criticamente motivata rivolta alle esperienze pittoriche di Monet, di Renoir e degli altri protagonisti del rinnovamento dell’arte figurativa.
Il suo legame con una precisa tendenza estetica del tempo non fu semplicemente dovuto al fatto di trovarsi a respirare nello stesso clima culturale, ma venne determinandosi come approfondimento di concetti in verifiche condotte al di là delle frontiere propriamente musicali.
Fin dall’inizio il suo operare si pose alla ricerca di corrispondenze non casuali con esperienze poetiche che andavano manifestando un nuovo orientamento del gusto; tanto che la sua prima grande affermazione con il Prélude à l’Après-midi d’un faune (1894), pur conservando alla musica la sua piena autonomia di senso e di significato, si richiamava alla lettera all’egloga di Mallarmé.
Édouard Manet, Ritratto di Stéphane Mallarmé (1876), Musée d'Orsay, Parigi
Non a caso, senza ambire a ruoli letterari, il musicista obbedì all’esigenza di puntualizzare il suo debito verso la poesia con le Proses lyriques (1893), componimenti poetici tutt’altro che trascurabili, dove la lezione simbolistica testimonia l’approdo a un rapporto tra l’artista e l’osservazione della realtà che fissa un modello estetico valido come principio suscettibile di essere chiarito pure in campo musicale.
L’intera ricerca teorica di Debussy è tesa alla messa a punto di concetti di fronte ai quali la diversa costituzionalità di musica, pittura e poesia si riduce a pura apparenza e dove fondamentale risulta invece il chiarimento della posizione dell’artista nella fase precreativa.
"Troppa importanza si usa attribuire alla scrittura musicale, alla formula e al mestiere! Si cercano le idee in sé, quando occorrerebbe cercarle intorno a sé. Si combinano, si costruiscono, si immaginano temi che vogliono esprimere delle idee; si sviluppano, si modificano a contatto con altri temi che rappresentano altre idee, si fa della metafisica, ma non si fa musica. Essa dev’essere registrata spontaneamente attraverso l’orecchio dell’uditore senza che questi abbia bisogno di cercare di scoprire idee astratte nei meandri di uno sviluppo complicato. Non si ascoltano intorno a sé i mille rumori della natura, non si spia abbastanza questa musica così varia che ci si offre tanto ricca d’abbondanza".
Claude Monet, La neve a Argenteuil (1875), Musée d'Art et d'Histoire, Ginevra
Sono parole che, al di là del pratico riferimento musicale, potrebbero essere ritenute valide come definizione orientativa dell’esperienza artistica tout court. Più ancora del Romanticismo, che già aveva svelato e sottolineato l’unità del concetto di arte al di là delle differenti categorie in cui esso si realizza (ma di fatto giungendo ad affermare il predominio della musica sulle altre categorie, per aver limitato la sua ricerca alla funzione espressiva), in questo momento decisivo, spostando l’accento sulla posizione percettiva dell’artista, il dissolvimento dei confini che tracciano la linea di demarcazione tra le diverse manifestazioni artistiche diventa effettivo.
È qui che Debussy si lascia assimilare inequivocabilmente ai princìpi dell’impressionismo pittorico; quindi non tanto nell’affinità «contenutistica» dell’evocazione di atmosfere impalpabili e nella sensibilità coloristica, bensì nella capacità di far coincidere l’atto creativo non già con la fase espressiva, ma con il momento in cui prende corpo la coscienza sensibile al contatto con ciò che è esterno all’individuo. All’atteggiamento attivo implicito all’urgenza di discorso, che per attuarsi esige lo sviluppo di un apparato sintattico regolato in funzione della trasmissione di un messaggio, si sostituisce un atteggiamento passivo, contemplante, il quale, più che dar luogo a una dialettica di argomentazioni in cui riconoscere lo sforzo dell’artista di farci partecipi del processo di individuazione delle aspirazioni del proprio io, ritrova l’innocenza della disponibilità ad accogliere le voci della natura in divenire, comunicando semplicemente il piacere provocato dallo stimolo delle sensazioni.
James Whistler, Nocturne blue and silver (1871), Londra, Tate Gallery
Atteggiamento gravido di conseguenze in quanto, se da una parte tale esperienza in Debussy si esaurisce in una forma raffinata di compiacimento estetizzante, dall’altra la liberazione della materia dai nessi discorsivi sotto la spinta del libero avvicendamento delle sensazioni inconsapevolmente fa saltare l’intero impianto grammaticale che garantiva il senso di messaggio all’espressività romantica, preparando il terreno alla completa liquidazione delle strutture ereditate.
Decade il compito primario assegnato alla funzione espressiva, mentre lo sforzo di impossessarsi della materia sonora per piegarla a un’organizzazione modellata sulla dinamica dei moti individuali cede di fronte al riconoscimento in base al quale la materia musicale in quanto manifestazione di natura è in condizione di liberare un’energia sua propria e di condizionare il sentire dall’esterno obbedendo a leggi sottratte al controllo della volontà individuale.
Claude Monet, Le Piramidi di Port-Coton, effetto di sole (1886), Collezione privata
Questi princìpi in Debussy si fanno particolarmente esemplari nella sua opera sinfonica dove la vastità della tavolozza coloristica consente al loro svolgimento di raggiungere conseguenze estreme, mentre il momento maggiormente dimostrativo è rappresentato da La Mer (1905).
In questo trittico orchestrale, ispirato al mare, la corrispondenza del compositore con il soggetto, oltre a confermare quanto detto, instaura un tipo di rapporto strettamente simile a quello specifico del pittore impressionista, non solo per quanto riguarda la posizione estetica, ma pure sotto l’aspetto dei mezzi stilistici impiegati. In questo senso (e questa volta non si tratta di semplice retorica), pittura e musica si incontrano e si identificano.
In realtà non solo in Debussy convergono le fila di quel latente, marginale e frammentario processo che va dal simbolismo madrigalesco del Cinquecento alla musica a programma dell’Ottocento tendente ad assegnare alla musica funzioni descrittive, ma nella sua musica esso viene risolto senza più apparire in forme di compromesso denotanti sforzo d’adeguamento a modelli extra-musicali.
Ammesso indiscutibilmente il carattere descrittivo di questa musica, per la prima volta è concesso di trovarci di fronte a un linguaggio in cui la funzione descrittiva si fonde con quella espressiva. Il riferimento con la pittura va fatto quindi senza esitazione.
Katsushika Hokusai, La grande onda di Kanagawa (1830-1831)
Copertina della prima partitura de La Mer di Claude Debussy
La Mer possiede in effetti le dimensioni e le caratteristiche di un grande affresco, dove la plasticità dell’evocazione d’ambiente stimola direttamente l’immaginazione visiva.
Il fatto che Debussy sia potuto arrivare a questo risultato non significa però che egli abbia messo in causa i fondamenti estetici del linguaggio musicale. In realtà, nonostante l’evidente abbandono della logica sonatistica, il suo discorso rimane musicale in senso assoluto, in altre parole la sua organizzazione obbedisce ancora a una logica imposta dalla natura dei mezzi sonori impiegati e che non richiede motivazioni extramusicali per essere compresa.
Ce lo rivela significativamente il fatto che nel soggetto evocato del mare (ma si pensi anche ai Nocturnes articolati in Nuages, Fêtes e Sirènes) nell’evento naturalistico viene colta la costante del ‘divenire’ che conferma, anziché contraddire, un tipo di sviluppo rappresentativo identico a quello su cui si fonda la logica del discorso musicale.
Ne consegue che, fra le molte qualità del linguaggio musicale, viene finalmente sancita la qualità descrittiva nei limiti di quegli eventi naturalistici le cui modalità di apparizione sono riconducibili alla nozione di temporalità, appunto la nozione fondamentale che permette alla musica di essere tale.
Ciò, è vero, non costituisce una scoperta: le innumerevoli rappresentazioni della tempesta che possiamo trovare nella tradizione operistica di tutti i tempi già l’avevano acquisito. Tuttavia solo con Debussy tale intuizione si inquadra in una coscienza dei limiti di questa possibilità, che ad esempio il poema sinfonico ottocentesco, nell’ambizione di rivaleggiare a tutti i livelli con le funzioni semantiche della pittura e della letteratura, aveva pericolosamente sorpassato. Una statistica dei titoli programmatici impiegati da Debussy (da Jeu de vagues in La Mer a Le Vent dans la plaine, Des pas sur la neige o Voiles nei Preludi) rivela la costante di argomenti implicanti movimento e l’assenza sistematica di riferimenti a eventi immobili e statici.
Claude Monet, La Pie (1868-1869), Musée d'Orsay, Parigi
La chiarezza dei princìpi estetici a cui coerentemente il musicista si atteneva lo conduceva ad appurare al di fuori della sfera intima l’esistenza di aspetti di realtà implicanti corrispondenze musicali, sulla base dei quali concepire una musica capace di rispecchiarne l’incanto e, senza rinunciare alla funzione di esprimervi la partecipazione individuale, in condizione di liberarsi definitivamente dal gorgo intimista in cui il tardo romanticismo l’aveva condotta.
Strutturalmente quindi Debussy perviene a concepire un’organizzazione che prescinde dal tematismo, vale a dire dalla garanzia fondamentale sulla quale la concezione romantica fondava la ricerca di identità individuale. La struttura formale de La Mer, che giunge esemplarmente a eliminare il riferimento tematico nell’attività percettiva abbandonata al flusso degli eventi naturalistici in cui l’artista accetta di lasciarsi coinvolgere, è dimostrativa. Gli unici residui tematici, che sussistono nel Dialogue du vent et de la mer (dove l’oscillazione ondosa della tromba in sordina succede e si alterna incessantemente al motivo in crescendo del vento), non fungono più da riferimento stabile, bensì vengono risucchiati dal denso flusso timbrico che li rende cangianti e che ne annulla la funzione orientatrice in un contesto dove la mutevolezza delle sensazioni si svela come unica realtà.
Tale chiarificazione della funzione descrittiva in rapporto alla coerenza espressiva risolve l’annoso problema della possibilità di dipendenza della musica dalla realtà oggettuale, sulla base di una coscienza capace di cogliere nello spazio naturalistico la stessa dinamica fondamentale che consente alla musica di comunicarsi come evento temporale.