Hummel: una transizione convincente
Ogniqualvolta capiti di affrontare un autore che abbia subito la ‘sfortuna’ di nascere in un cosiddetto periodo di transizione, la tentazione è quella di liquidare il discorso rilevando la presenza di costanti ereditate da stili precedenti oppure anticipazioni di maniere posteriori.
Una figura ‘minore’ quale Johann Nepomuk Hummel (1778-1837), potrebbe essere facilmente sistemata in questo spazio per il perdurare di una chiarezza mozartiana, per la scoperta della sonorità pianistica tintinnante che dirige il discorso in direzione chopiniana, per la struggente tenerezza dei giri di frase che nell’ultimo movimento del Concerto in la minore, op. 85, scoprono un’ambientazione già schumanniana. Un simile abituale procedere critico non può però dissimulare un’intrinseca debolezza nell’incapacità di riconoscere il momento organico in cui questi aspetti compositivi pur tuttavia si collocano, sminuendo più del necessario la statura del compositore.
Il concerto possiede infatti tutte le qualità formali dell’opera che si è assicurata il giusto equilibrio delle sue componenti, nonostante il fatto che il suo assetto stilistico faccia capo ad elementi che la generazione posteriore avrebbe epurato. La solidità dell’impianto è indubbia: i punti di forza sono efficacemente collocati, in modo da garantire alla composizione uno svolgimento sorretto da una chiarezza di concezione, mentre la dialettica tra l’orchestra e lo strumento solista è assai meglio risolta che non nei posteriori concerti chopiniani.
L’inequivocabile riuscita di quest’opera ci aiuta a liberarci dal falso problema dei pretesi rapporti con i precedenti mozartiani o con le anticipazioni ‘romantiche’, poiché l’accostamento di modi espressivi che siamo abituati a riferire ad epoche diverse qui si realizza come naturale fusione di procedimenti e risorse che delineano uno spazio organicamente articolato.
Non solo infatti in tale spazio ravvisiamo le basi dell’espressione ‘romantica’ che siamo abituati a considerare tipica, ma esso si presenta con una fisionomia compiuta e persuasiva che del Romanticismo dice già tutto, anche se in forma assai meno programmatica rispetto alla consapevolezza di un Mendelssohn o di uno Schumann.
La caratterizzazione tematica, ad esempio, non si esaurisce nella definizione funzionale dei temi, ma li configura come nuclei melodici sfaccettati, che sottendono un’allusività capace di tenere il discorso aperto su un’incessante azione di inventiva melodica già posta ormai ai confini della forma sonata.
Il tema del Rondò soprattutto svela questa ambivalenza nell’opporre all’interno dello stesso nucleo il piglio energico della prima frase e il degradante procedere introspettivo della seconda, elementi che condizionano tutto lo svolgimento del movimento a piani sovrapposti, a stacchi espressivi che nella mutevolezza di fasi rapidamente avvicendate realizzano un modello formale definitivamente nuovo.
Il linguaggio pianistico si articola sulla dimensione di una sonorità che ha ormai infranto il guscio esterno dell’omogeneità timbrica e che, grazie a una tecnica sviluppata sulla rapida e frenetica successione delle gamme, sull’abbondanza dei trilli e su di un’ornamentazione translucida, scopre i languori segreti di risonanze ovattate.
Con ciò già siamo nella prima fase romantica della finestra aperta su un paesaggio carico di magìa, illuminato da riverberazioni che rivelano incessantemente dimensioni nascoste. Gli slanci provocati dai numerosi passaggi modulanti stanno a testimoniare il piacere di questa scoperta che si ripercuote sulla forma in modo significativo.
La linearità della struttura è il trasparente equilibrio del discorso non incatenano la composizione alla rigidità di una forma ereditata: ce lo palesa il fantasioso procedere del Rondò e ancor più il suo innesto senza soluzione di continuità nel Larghetto che lo precede. Nello svolgimento storico di questi concetti la generazione posteriore procederà su questo terreno per svelare le facce nascoste di questa medaglia, per liberarsi da questo atteggiamento contemplante e scoprire più lontani orizzonti espressivi in cui la desolazione introdurrà la dimensione di un dolore che porterà l’individuo alla coscienza delle proprie insufficienze. Hummel appartiene invece alla generazione fiduciosamente aperta su un mondo nuovo, le cui pieghe misteriose non riescono ancora, ad arginare la calda effusione lirica di un’espressione consolata dalla visione rassicurante di un paesaggio in cui l’ombra appare come tocco di colore e non ancora con il fremito di un presagio.