I CONTI DI SCHUMANN CON LA TRADIZIONE CLASSICA
La Sonata in sol min. op. 22 di Schumann fu iniziata nel 1833 e portata a termine nel 1839, compiuta quindi prima dei trent’anni nel periodo in cui il compositore maturava in piena e polemica libertà l’ideale di una musica romantica preoccupata di rompere qualsiasi tipo di convenzione che la potesse legare al passato.
L’op. 22 è infatti preceduta dal Carnaval, dalla Kreisleriana, dai Phantasiestückee da altre composizioni articolate liberamente in pezzi ora chiusi, ora aperti a sottili rapporti, ma sempre densi di evocazioni, di intermittenze che riflettono una concezione fortemente marcata dagli entusiasmi giovanili, da letture filosofiche e poetiche in cui Schumann ripensava la funzione della musica nella cultura e nella vita.
Schumann incarna con singolare esemplarità l’aspirazione della musica romantica a trascendere se stessa, come veicolo di un’ideale d’arte assoluto, al di là dei generi, in una compenetrazione governata da pura fantasia. Fantasia che gli permise addirittura di infrangere il limite tra vita vissuta ed esperienza dell’immaginazione: in un curioso gioco di pseudonimi con cui egli usava siglare i suoi scritti egli giunse perfino a incarnarsi nelle tre figure complementari di Eusebio, il sognatore solitario tenero e contemplativo, Florestano, il giovane veemente e appassionato, e Maestro raro, compassato e dotto osservatore, arbitro della Lega dei fratelli di Davide, consorteria di artisti per metà reale e per metà immaginaria, riuniti intorno a Schumann a Lipsia con gli scopi propagandistici che diedero vita alla Neue Zeitschrift für Musik.
Con gli pseudonimi di Florestano e Eusebio Schumann firmerà la Prima Sonata op. 11, mentre con la Sonata op. 22 egli tenterà di saldare il conto con la tradizione classica, un conto che, nonostante tutte le effervescenze, rimarrà aperto, tanto che negli ultimi anni della sua vita lo ritroveremo alle prese con le grandi forme della tradizione (la sinfonia, il concerto, ecc.)
Robert Schumann da giovane
La sonata fu la forma canonica del classicismo e, per la serrata logica bitematica, nulla o poco poteva concedere alle divagazioni fantastiche.
Non a caso Schumann, in una lettera a Hummel nel 1831 scriveva: “La forma del concerto mi sembra più facile di quella della sonata […] per la possibilità di maggiori licenze”. Più che una serrata dialettica tra i temi come nella sonata classica, nella sua composizione Schumann bada a tessere rapporti evidenti e nascosti di sottile simbolismo psicologico, non tanto nella trasformazione dei momenti di sviluppo in spazio di divagazioni fantasiose, quanto nell’interpretazione della struttura bitematica quale campo di sdoppiamento del compositore nei due alter ego (Florestano e Eusebio) che informano esuberantemente i tratti opposti in cui vi si organizza il materiale melodico, senza contare la sottile rete di stimoli della memoria che collegano a esempio il primo tema del primo movimento con il tema d’apertura del Concerto in la min. di quasi dieci anni dopo e di alcuni momenti delle tre Sonate per la gioventù del 1832, a sottolineare come il discorso non obbedisca più a una norma di controllato distacco dalla testimonianza creativa ma si confonda con l’individuale itinerario biografico dei sentimenti.