IL RISO DI MOZART
Il riso praticato dai moderni non è quella manifestazione in tutto liberatoria e rigenerante conosciuta dagli antichi, per i quali poteva ancora valere la psicologia dello sdoppiamento della personalità, la coesistenza allo stesso livello di coscienza di leggero e di grave, di serio e di faceto, di nobile e di umile. Dopo Mozart non è più possibile mantenere distinti in separato ordine i due piani espressivi: il rovescio di senso, che prima nella parodia confermava il modello, non può più attuarsi in una situazione di compenetrazione degli estremi dove all’adeguamento funzionale si sostituisce l’ambiguità. Concordando con Karl Barth siamo infatti indotti a riconoscere come in Mozart «quanto vi è di grave è come se levitasse e quanto vi è di lieve ha un peso infinito».
Il momento emblematico è costituito da Ein musikalischer Spass K 522 (1787), dal cosiddetto sestetto dei musicanti di villaggio, per le sottolineature popolaresche dei suoi tratti e soprattutto per le goffaggini di musici dilettanti che Mozart dissemina ad arte in una partitura che ne mette a nudo la mediocrità, l’ineleganza, l’incultura. La parodia non si ferma tuttavia a tale livello: anzi di derisione, di comicità ricavata dall’esibizione di difetti altrui, non è propriamente il caso di parlare relativamente a un lavoro nato per essere calato nel quotidiano.
Al contrario, trasformando il banale in originale, il tratto stilistico maldestro in eccentrica trovata, la dissonanza in complessità armonica, Mozart muta la caricatura in ironia giocando ambiguamente tra la posizione di spettatore divertito e l’immedesimazione. A quel punto il gioco cessa di essere tale per cui «Ein musikalischer Spass potrebbe rappresentare emblematicamente il momento di trapasso dalla concezione propria della cultura comica popolare, dove il riso è fenomeno liberatorio ed esplosivo, alla concezione moderna, dove il riso diventa implosivo e funerario» (Cristina Cano).
Il sestetto dei Dorfmusikanten costituirebbe allora il termine dialettico di un’estetica che non nega il diletto, che anzi lo esalta, senza con ciò liberarsi da quel «qualcosa di estremamente impegnativo, di inquietante, quasi di emozionante» che vi ravvisa Barth.
Proprio per il fatto di tendere alla condizione più esilarante la sua musica tradisce la zavorra della tristezza: proprio per voler essere leggera la sua musica assume lineamenti di gravità fissando con ciò un limite invalicabile alla coscienza moderna, che con Mahler cercherà invano distrazione nelle svagate reminiscenze di personale memoria della musica dell’infanzia semmai incombenti come presentimento di tragedia irrimediabile, mentre, programmaticamente Richard Strauss fisserà in implacabile gesto musicale lo sberleffo di Till Eulenspiegel proprio nel momento in cui l’esuberanza vitale del personaggio popolare si specchia nella morte annunciatagli dal patibolo.
In questo la figura a cui Richard Strauss diede vita, proprio per il fatto di muoversi in prospettiva sincretistica fra truculenze di commedia delle maschere e la profondità drammatica della tragedia, raggiunge lo stato di ambiguità delineato da Mozart, presentandosi come l’ennesima reincarnazione di Pierrot nel senso attribuitogli da Starobinski: «Assumendo questo aspetto slavato e macabro, il Pierrot grullo ha conquistato un’agilità superlativa, fantoccio demoniaco che volteggia sui venti d’oltretomba, non è più un essere impastato di greve materia terrestre: è ridiventato un essere mercuriale nelle cui vene circola argento vivo, e attraversa come un cerchio di carta la frontiera tra la vita e la morte».
In proposito è già stato fatto notare come Ein musikalischer Spass fosse la prima composizione scritta da Mozart dopo la notizia della morte del padre Leopold: non a qualcosa di simile a un Requiem fu in quell’occasione indotta la sua musa ma a una musica giocosa, per non dire a uno scherzo in piena regola. A darne ragione non esiste spiegazione plausibile, anche perché un fatto artistico non deve trovare necessariamente riscontro nella biografia di un compositore. Non ne approfitteremo quindi per indicare abusivamente nella composizione parodistica una velata reazione alla presenza paterna, che su Wolfgang Amadeus agì sempre come tutela, o il presunto ritrovamento di quel filone giocoso che faceva parte della sua natura com’era data fin dai saggi compositivi del Mozart fanciullo (non si dimentichi che uno dei suoi primi brani orchestrali fu quel Quodlibet «Galimatias Musicum» KV 32 impegnato a produrre effetti burleschi a ripetizione).
Ciononostante non è possibile sottrarsi al rilevamento del modo sbrigativo con cui Mozart si libera del pensiero del decesso del genitore nelle lettere superstiti, riconfermante l’atteggiamento epistolare nella comunicazione della morte della madre da Parigi nel 1778 dove l’aveva accompagnato, fatto immediatamente situato al passato secondo un istinto di rimozione fin troppo chiaramente delineato. Ein musikalischer Spass potrebbe quindi essere interpretato come una specie di atto esorcistico, se non proprio «un intervento di autoterapia con il quale Mozart abbia voluto reprimere il dolore, oppure il senso di colpa per scarsa partecipazione emotiva» (Hildesheimer), ciò che estenderebbe in dimensione ancor più ambigua la dialettica tra piacere e dolore riconosciuta alla base della sua visione estetica.