• Diario d'ascolto
  • 5 Giugno 2018

    Il sacro di Monteverdi a una svolta

      Carlo Piccardi

    La raccolta di musica monteverdiana, pubblicata da Riccardo Amadino in Venezia nel 1610, è di notevole importanza storica da qualsiasi aspetto la si voglia considerare. L’apparizione abbinata del Vespro e della Messa a sei voci “In illo tempore”, oltre alla presentazione di due opere prestigiose, apre una prospettiva di concezioni artistiche nuove, determinate appunto dalla coesistenza di composizioni tanto diverse uscite dalla mente e dalle mani dello stesso autore. 

     monteverdi 2

    All’origine della raccolta sembra esserci stato un motivo pratico: la necessità di portare al papa un dignitoso omaggio, con l’intenzione di ottenere al figlio del musicista una borsa di studio per il Seminario pontificio in Roma. 

    Il papa regnante era Paolo V, deciso propugnatore del consolidamento dell’autorità ecclesiastica in funzione del raggiungimento dei fini proposti dalla Controriforma. Ciò spiegherebbe la presenza nella raccolta monteverdiana della Messa “In illo tempore” fondata come “messa parodia” su un mottetto di Nicolas Gombert, di impostazione polifonica e decisamente retrospettiva nel rincorrere i modelli fiamminghi di decenni precedenti, per ovvie ragioni preferiti dagli zelanti agenti della controffensiva cattolica alle innovazioni stilistiche orientate verso la monodia, a quel tempo già sul punto di lambire la musica liturgica.

    Ma lo stesso motivo non spiega la presenza nella raccolta di un’opera senza alcun dubbio rivoluzionaria, al di fuori di ogni regola vigente e per molti versi sperimentale, quale il Vespro della Beata Vergine

    Monteverdi 1

    I salmi del Vespro, scritti per coro con aggiunta di un esteso gruppo di strumenti, sono in “stile concertato” o in forma policorale di derivazione veneziana. Le composizioni intercalate ai salmi (“Nigra sum”, “Pulchra es”, “Duo Seraphim”, ecc.) perseguono pure una loro unità stilistica, essendo destinate a voci sole con accompagnamento di basso continuo. Il contrasto tra linguaggio strumentale e linguaggio vocale, e tra solisti e coro, in Monteverdi diventa assai più pronunciato che nella musica di Giovanni Gabrieli, esponente maggiore della scuola veneziana. Nel salmo iniziale “Domine me adiuvandum” il coro a sei parti sostiene un accordo di re maggiore in stile declamato, mentre gli strumenti introducono una serrata animazione di figure melodiche ripetute, trasposizione evidente della Toccata strumentale posta all’inizio dell’Orfeo.

    MONTEVERDI MADONNA 2

    La differenziazione del materiale, già ricca a confronto della concezione della musica liturgica a quell’epoca, è completata dall’impiego assolutamente personale di “canti fermi”. Nel salmo “Nisi Dominum” a dieci voci il movimento dei due cori poggia sulla continua scansione del “cantus firmus” gregoriano nel basso, mentre la proposta di utilizzazione del “cantus firmus” contenuta dalla Sonata sopra Sancta Maria è ancor più originale. La composizione è infatti organizzata in tre sezioni, di cui l’ultima è la ripetizione della prima: la voce di soprano intona il “cantus firmus” (“Sancta Maria ora pro nobis”), invariabilmente ripetuto lungo l’intero brano per quanto riguarda la declamazione e il “tono”, ma via via arricchito dall’aggiungersi di una sontuosa veste strumentale, di una mutevolezza ritmica e melodica assai matura ed anticipatrice dello stile strumentale secentesco.

    MONTEVERDI VESPRO

    Il Vespro della Beta Vergine costituisce la prima testimonianza completa e convincente dell’ingresso del nuovo linguaggio monodico nella musica liturgica. Tale opera, colossale nella dimensione e capitale nell’importanza, rappresenta probabilmente il tentativo più ardito e senza paragoni di fondare, in sede di musica funzionale, una zona in cui far convergere non solo lo sforzo di edificare una grande costruzione sonora come poteva essere richiesta dalla circostanza, ma pure l’intera problematica artistica del musicista che, nella soluzione della questione espressiva, ha dibattuto la propria assillante ricerca. Infatti non è di secondaria importanza rilevare in questa composizione l’avvenuta unificazione stilistica, assumendo per la musica liturgica non dei semplici aspetti ma una concezione tipica della musica profana nella sua organicità, inducendo il compositore a manifestare senza limitazioni di sorta le acquisizioni della propria nuova concezione estetica.
    Giustamente lo Schrade, a proposito del Vespro, ha parlato di “secolarizzazione della musica sacra” per quanto riguarda l’adozione di uno stile ormai corrente di musica profana, ma anche di “individualizzazione della musica sacra” nella misura in cui, per mezzo di tale operazione stilistica, il compositore è potuto giungere all’espressione della propria devozione e della propria pietà personale. Si veda l’evidenziazione della parola, non tanto negli esempi in cui sono messe in opera le tecniche di illustrazione del testo per mezzo di procedimenti astratti (quale ad esempio la condotta a tre voci in concomitanza con il verso “Tres sunt”), ma piuttosto le parti recitative con flebili risposte in eco e un cromatismo appena accennato sulle parole “Maria Virgo, illa dulcis” in “Audi coelum”.

    VESPRO 2

    Questa esperienza avrà prolungamenti nella Selva morale e spirituale del 1641 e, in quanto all’unità di concezione tra musica con funzioni profane e musica con funzioni religiose, nel Pianto della Madonna, dove, essendo quest’ultimo una contraffattura del Lamento di Arianna, ci troviamo di fronte a una vera e propria identificazione delle due esperienze.

    Sennonché, come una medaglia, anche questo importante raggiungimento ha il suo rovescio. Proprio contemporaneamente al Vespro e nella stessa raccolta, abbiamo detto, Monteverdi pubblicò la Messa a sei voci “In illo tempore”, un’opera di pronunciato carattere retrospettivo che, sorvolando Palestrina e Lasso, si ricollegava addirittura alla tradizione fiamminga. Così nello stesso momento in cui il musicista offriva un saggio impareggiabile, valido come modello per una forma musicale liturgica di moderna concezione, dalla sua stessa penna usciva una composizione ossequiente i canoni della musica sacra polivocale di antica concezione e di slancio ormai spento al di fuori della pratica religiosa.
    Con questo si rivelava uno stato di bilinguismo musicale, la coesistenza di uno stile antico e di uno moderno, nella quale, sotto diverse spoglie, si sarebbe perpetuato il conflitto tra sacro e profano.