• Diario d'ascolto
  • 18 Dicembre 2017

    Il sacro nel moderno

      Carlo Piccardi

    Dalla funzionalità in cui la pratica musicale religiosa si presentava nel Medio Evo (canto gregoriano), dall’organicità solenne e principesca in cui nel Rinascimento si presentava la polifonia sacra, nei decenni del Barocco la musica di chiesa integrò la componente emozionale ed affettiva derivata dal canto solistico.

     

    L’avvento dello stato laico e repubblicano nell’Ottocento dopo la Rivoluzione francese, oltre a segnare l’emarginazione istituzionale della Chiesa, mise in crisi anche il modello di musica religiosa.
    Il passaggio da suddito a cittadino, rivalutando l’individuo nella sua responsabilità, indebolì la tradizione di una pratica intesa come espressione di una sensibilità collettiva, per cui le soluzioni adottate nel repertorio chiesastico da allora sfociarono in indirizzi stilistici a volte incongruenti e ibridi, tentati dalla restaurazione di modi del passato in forme giustificate più dalla posizione individuale che dalla condivisione nella società.

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    È l’epoca del simbolismo, predisposto a valorizzare la spiritualità, ma in virtù della ricerca estetica più che di quella religiosa.
    Ne fa stato il giudizio di Jacques Rivière sulla conversione di Joris-Karl Huysmans, esponente del decadentismo, al cattolicesimo: “È all’arte cristiana del Medio Evo che si converte, non al cristianesimo”.

    Il Novecento, con le lacerazioni e le fughe in avanti dei movimenti d’avanguardia, rese ancor più problematica la capacità della musica di ritrovare un canone all’altezza dei tempi.
    In mezzo a ogni forma di epigonismo vi spiccarono alcune personalità organicamente in linea con il messaggio chiesastico (Lorenzo Perosi, Hugo Distler, Olivier Messiaen, Francis Poulenc), ma certamente non al punto da imporre una forma comunicativa condivisa.
    Ne subentrò una rassegnazione, al punto che, nei manuali della storia musicale del secolo che ci sta alle spalle, è scomparso definitivamente il capitolo dedicato alla musica religiosa.

    Lux Aeterna

    Un segno di risveglio è tuttavia rappresentato da alcune personalità creative emerse là dove meno lo si sarebbe aspettato, nei paesi comunisti, in cui l’ateismo di stato era diventato un principio costituzionale.

    Dalla Polonia negli anni 60 Krzysztof Penderecki si affermò come figura di primo piano nell’avanguardia postweberniana proprio attraverso lo Stabat Mater, la Passione secondo Luca, il Dies irae, ecc., contemporaneamente all’ungherese György Ligeti (autore di Lux aeternam, del Requiem), seguiti dall’estone protestante Arvo Pärt (autore di un Te Deum, di un De profundis, della Missa syllabica, della Passio D. N. Jesu Christi secundum Johannem composta nel 1980, una delle composizioni sue più note, ecc.), non in un processo evolutivo vero e proprio ma certamente in un filone che ha segnato la riappropriazione del sacro da parte della musica avanzata.

    PENDERECKI
    Krzysztof Penderecki

    Al di là dell’adombrata protesta politica, è significativo che per certi versi tale produzione musicale abbia intercettato un’aspirazione al sacro presente nella società e nella cultura, fornendo una risposta a domande altrimenti destinate a naufragare nella genericità delle soluzioni sbrigative del New Age.

    Pärt in particolare, rispetto all’orientamento di Penderecki verso una monumentalità a volte compiaciuta, ha individuato un’espressione che ritrova l’autenticità nel calco delle forme arcaiche, dove emerge in prospettiva l’eco della lontana elevatezza del canto monodico, il tentativo di coniugare la moderna esigenza di una strutturazione del linguaggio al di là della passionalità individuale con l’idea di musica delle sfere, e recuperando una dimensione contemplativa all’interno di un impianto vocale, di per sé garante (attraverso la voce) della portata umana del messaggio.

    ARVO PART 1
    Arvo Pärt