L'amico Fritz
Che "L’amico Fritz" sia un’opera minore non c’è dubbio: già la sua genesi ce lo rivela.
In questa composizione, nata l’anno dopo il successo di Cavalleria rusticana come una specie di risposta alle accuse di coloro che avevano spiegato quella prima conquista con la solidità e l’elevatezza del libretto tratto dalla celebre novella di Verga, il musicista volle dimostrare che la musica avrebbe potuto tutto anche a dispetto di un esile libretto com’è appunto quello di P. Suardon (anagramma di Nicola Daspuro) tratto dalla commedia di Erckmann e Chatrian. In verità Mascagni non seppe ripetere il miracolo di Cavalleria, ma non è questo che importa.
Ciò su cui occorre soffermarci è la differenza di àmbito estetico in cui queste nuove proposte si configuravano rispetto alla tradizione operistica ottocentesca. Il movimento dei «veristi» in musica, oggi ancora denigrato per motivi che non è il caso di evocare, non fu una tendenza degeneratrice del gusto, ma una proposta che tendeva a ribaltare il modello ereditato. La critica d’allora si trovò infatti in difficoltà fin quando volle tentare di conciliare il vecchio con il nuovo.
Ecco quanto scriveva Girolamo Alessandro Biaggi su Nuova Antologia nel 1891: «Della melodia veramente italiana, come l’abbiamo ne’ capolavori della scuola napoletana e in quella del Rossini, del Donizetti, del Bellini, ecc. la melodia del Mascagni, intanto, non ha né la naturalezza, né la grazia, né l’eleganza de’ movimenti. È secca invece, è angolosa e, non di rado, con modi più bizzarri e insoliti che belli, si sottrae alla ragione tonale, con iscapito non piccolo, specialmente se presa in se stessa, della perspicuità e dell’espressione.
Di più il Mascagni non si cura né punto né poco dello svolgimento o, come dicesi, del discorso melodico; il quale viene dalla facoltà di dedurre da una prima idea, la seconda, la terza e via via, e di fare che i suoni, le frasi, le idee, sian stretti fra loro come da un legame logico, e si chiamino e si rispondano, come le proporzioni di un buon sillogismo, e mettano capo ad una perorazione che riassuma, concluda, persuada, appaghi e commuova. (...) Nell’Amico Fritz forse più ancora che nella Cavalleria rusticana, le idee melodiche, brevissime sempre e ben poco più di spunti, corrono slegate, e l’una succede all’altra, senza nessi di sorta. Per questo rispetto, e se in alcuni casi non si potesse invocare a scusa la ragione drammatica, il Fritz meglio che un’opera d’arte, direbbesi un prontuario o un repertorio».
Ciò che si faceva strada non era quindi un’incapacità a seguire i canoni della vecchia scuola, bensì la volontà di collaudare nuovi criteri compositivi in un àmbito di ricerca stilistica che oggi fa apparire quest’opera un campione di eterogeneità. Dietro, sicuramente, stava il tentativo di dar corpo a un’estetica naturalistica del teatro musicale, già evidente in Cavalleria nella ‘ricreazione’ di canti popolari inseriti a mo’ di citazione.
Nell’Amico Fritz sono i quadri d’ambiente (i cori dei contadini in lontananza lungo la prospettiva sonora tracciata dal corno inglese nel secondo atto), i tratti zigani che si insinuano nella vocalità del rabbino David e di Beppe lo zingaro, per non parlare del tema del celebre intermezzo che, prima di esplodere in trascinante canto orchestrale, all’inizio del primo atto è esposto come lunga trenodia per violino solo in perfetto mimetismo con le esigenze rappresentative di connotazione dell’ambiente zingaresco che è chiamato a testimoniare.
Esigenze simili di connotazione non nascono con Mascagni (gli zingari si incontrano già nel Trovatore), ma è con Mascagni che la fedeltà al reale forza il principio dell’omogeneità stilistica costringendo ad accettare un livello di discontinuità espressiva a volte risolto nella potenza del canto arioso, ma spesso rimasto a dichiarare una scelta estetica che, attraverso le esperienze del realismo, si collegava alla più vasta dimensione di fine secolo in ciò che essa seppe anticipare in fatto di messa in discussione del linguaggio rispetto alle radicali trasformazioni del nuovo secolo.
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