La donna nell'opera
Da sempre la storia dell’opera si intreccia con la storia del divismo. Dal momento in cui l’opera intorno alla metà del Seicento diventa un chiaro fatto impresariale, dove le esigenze artistiche si sposano alle necessità commerciali, l’aspetto divistico legato agli interpreti tende a predominare sull’affermazione degli intrinseci valori estetici.
È lì che nasce la mitologia della “prima donna”, figura in cui si sommano significati corrispondenti non solo a valori propriamente musicali ma spesso alla finzione indotta dal ruolo scenico, dove la stratificazione di innumerevoli vicende interpretate veniva a costituire un precipitato che ne amplificava immaginosamente e a dismisura la personalità.
È lì che si creò la fama di Anna Renzi, la quale poteva permettersi di rifiutare l’invito dell’arciduca di Innsbruck che le aveva riservato la parte di Cleopatra nel Cesare amante di Cesti.
Maria Malibran
È in quel contesto che si scatenarono le fantasia erotiche che accompagnavano le esibizioni di Anna Maria Sardelli, personaggio da rotocalco ante litteramper le turbolenze delle sue vicende pubbliche e private. Su, su, fino alla Grassini, alla Grisi, alla Malibran e a Giuditta Pasta, è la stessa storia che si ripete e che celebra un ulteriore traguardo con Adelina Patti. Fin qui l’Ottocento che alla donna cantatrice riservava ancora il primato.
Nel Novecento la prospettiva muta non poco, venendo essa a coincidere con l’affermazione maschile, soprattutto del tenore.
Beniamino Gigli
Nei decenni del secolo scorso non sono mancate, è vero, personalità femminili di spicco. Ma nessuna di esse è mai approdata alla fortuna cinematografica di Richard Tauber, ad esempio, di Jan Kiepura, di Beniamino Gigli e di altri tenori che hanno contribuito alla fortuna di un curioso filone filmico-musicale alla moda.
Nemmeno Maria Callas, grande eccezione, potrebbe pretendere di ristabilire un equilibrio che ancora oggi viene negato alle affermazioni femminili, se è vero che Luciano Pavarotti è stato il cantante più pagato del mondo.
Luciano Pavarotti
Di mito del tenore come di mito della primadonna, con tutte le condizioni sociali mutate, non si può forse oggi parlare. Tuttavia, considerando che il repertorio operistico attuale riproduce con pochissime varianti quello che era corrente negli ultimi decenni dell’Ottocento, una mutazione è senz’altro avvenuta non all’interno del fatto operistico bensì all’esterno, nel costume, nell’immagine della donna com’essa è determinata nella mentalità, e, perché no, da un velo di morbosità erotico-scandalistica che nel trapasso si è spostato dall’opera al cinema e ad altre forme di spettacolo privandola di un condimento marginale, ma che fu attivo per almeno tre secoli.