• Diario d'ascolto
  • 19 Novembre 2015

    La tradizione musicale americana

      Carlo Piccardi

    In un panorama sprovvisto di figure emergenti quale fu la vita musicale americana dei primi 150 anni è più facile cogliere le linee di sviluppo senza essere distratti da connotazioni di prepotenti esperienze individuali.

    In tal caso la tradizione americana rivela immediatamente una doppia faccia, dove un lato reca il calco apparente degli esempi europei, mentre la struttura compositiva trova motivazione in cause estranee alla nostra concezione.

    Un primo rilevamento riguarda l’ispirazione immaginifica che sembrerebbe corrispondere all’estetica romantica del poema sinfonico. In verità la ricca immaginosità della musica americana non ha origini letterarie, ma si fonda sulla predisposizione, benché alcuni casi potrebbero far presagire il contrario (i versi poetici, a cui l’opera intende adeguare il carattere espressivo, che Edward Mac Dowell (1861-1908) reca spesso in testa ai suoi pezzi per pianoforte). La vocazione alla raffigurazione della musica romantica europea si presenta infatti come una forma di nobilitazione, una scommessa con le proprie possibilità espressive allo scopo di raggiungere gli stessi fini della poesia.

    statua libertà

    Al contrario tale atteggiamento in America si configura immediatamente come dato espressivo di fondo, in cui il suono è inteso come cifra del reale. Di qui la tradizione fortunata dei pezzi ispirati alle battaglie o l’imitazione delle campane che riecheggiano ancora in una canzone di Stephen Foster e in molti brani di Charles Ives (Serenity, Three Pages Sonata, Concord Sonata).

    Di Anthony Philip Heinrich (1781-1861) sono da considerare i vasti affreschi orchestrali dove il richiamo immaginifico condiziona l’impianto linguistico e strumentale, dilatando le forme e introducendo soluzioni sonore eterodosse (atteggiamenti bandistici, ecc.). Di Louis Moreau Gottschalk (1829-1869) merita attenzione soprattutto per le combinazioni ritmiche che, più di mezzo secolo prima di un Milhaud, gli consentirono di concepire composizioni dove il prevalere ossessivo delle sghembe formule ritmiche caraibiche blocca l’espressione in fissità oggettiva. In ambedue gli autori l’impianto formale è contraddistinto da un procedere paratattico, da un’articolazione rapsodica che sembrerebbe esaltare la divagazione e apparentarsi alla libertà celebrata dalla concezione romantica.

     old band shell

    In verità mentre la rapsodicità di origine romantica si fonda sul libero arbitrio del soggetto creatore, dove l’inedita organizzazione del materiale viene esibita come rinnovata conquista di un ordine individuale in contrapposizione a ogni possibile schema ereditato, la rapsodicità americana non implica nessun sostrato dialettico. Essa non sottende nessun gesto ribelle e, nella mancanza di tensione, si adagia a un procedere senza sussulti dove è in gioco un ingranaggio ciclico più che rapsodico e che, in quanto tale, più che di empito individuale sembra il risultato della circolare periodicità degli eventi naturali.

    In questo caso si può parlare di naturalismo, non già come programmatica scelta di rispecchiamento dei fatti senza mediazione, bensì come condizione di coscienza preindividualistica.

    In che misura a mantenere, o addirittura a promuovere tale condizione, abbia contribuito la specificità della prassi concertistica americana dell’Ottocento (i concerti all’aperto, in parchi e giardini o addirittura nello scenario dei lontani luoghi della frontiera in situazione direttamente complementare alla natura) è difficile stabilire. È però sicuramente accertabile che, come lo sviluppo della dialettica interiorizzata della grande forma sonatistico-sinfonica sia da mettere in relazione con lo spazio della moderna sala di concerto, il fatto che essa in America non si ponesse come esclusivo veicolo di diffusione musicale contribuisse a tenere lontano i compositori del nuovo mondo dalle forme che ne conseguivano.

    central park

    La sala di concerto, istaurando una direzionalità a senso unico tra esecutori e pubblico, aveva in un certo senso sconvolto la prassi vigente fino a tutto il Settecento, di un consumo musicale profondamente integrato alle funzioni sociali: sia nelle corti sia nei teatri aristocratici la presenza del pubblico non era mai vincolata da costante adesione all’ascolto, ma implicava divagazioni che probabilmente furono all’origine stessa delle forme musicali (la suite come collana di numeri distinti, l’opera come successione di forme chiuse) che era lecito percepire nella loro frammentarietà. Ora mentre l’Europa adottava stabilmente la sala di concerto come luogo capace di indurre la concentrazione necessaria ad assorbire l’intensità liberata dalle grandi forme, l’America non rifuggiva ancora dall’idea di accettare una musica complementare agli eventi esterni, anzi la potenziava.

    Quanto questa idea sia ancora viva in Charles Ives (1874-1954) non lo dimostra solo la sua musica, oppure l’ambiziosa e mai realizzata concezione di una Universe Symphony intesa come dimostrazione massima di resa dell’individuo alla natura percepita non solo in quanto fenomeno ma anche come fonte di pensiero.

    TB Sym Universe RR

     Ives non mancò mai di meditare su questi fatti, al punto di formulare in atti di folgorante consapevolezza critica la sostanziale diversità del rapporto con la natura tra l’uomo americano e l’uomo europeo:
    “ L’atteggiamento di Debussy verso la natura sembra dipendere da una specie di ebbrezza sensuale. Mentre il comportamento del filosofo americano Thoreau è una specie di sensualità spirituale. È raro trovare un contadino il cui entusiasmo verso la bellezza della natura sia paragonabile a quello del cittadino che, la domenica, va in campagna. Thoreau, che visse parecchi anni in una capanna da lui stesso costruita nella foresta, nutrendosi dei prodotti della natura, è quel raro contadino; e Debussy è il cittadino che a fine settimana, si rifugia nella bellezza della natura”.

     Casa ThoreauLa casa di Thoreau a Walden Pond

    Inoltre è forse questa la chiave che ci consente di capire come nei musicisti americani sia maturata la capacità di rappresentare efficacemente in termini di musica i meccanismi della moderna realtà urbana. Per quanto disumana nella sua apparenza, tale realtà era venuta improvvisamente a sostituire la visione di un’America rurale e selvaggia agli occhi dei suoi abitatori, i quali, nell’atteggiamento di predisposizione all’integrazione nel reale circostante, non potevano evitare di considerarla come nuovo stato di natura.