• Diario d'ascolto
  • 25 Ottobre 2023

    LE RADICI DI ERIK SATIE

      Carlo Piccardi

    Erik Satie, periodicamente recuperato dalle avanguardie del nostro secolo come esempio di musica «oggettiva» (da Debussy al Gruppo dei Sei, dall’Ecole d’Arcueil a John Cage), è ancor oggi interpretato alla lettera (secondo il senso delle sue lapidarie asserzioni) come artista senza radici, capace di sfidare il tempo. In verità la sua coscienza del nuovo (dell’impossibile addirittura) si colloca nella precisa geografia culturale francese che, reagendo alla dominante e opprimente estetica naturalistica, segnò negli ultimi decenni dell’Ottocento la conversione alle tematiche spiritualistiche ai limiti addirittura dell’infatuazione religiosa.

    Si trattò di una tendenza tanto più significativa quanto più manifesta anche presso gli artisti più scettici, primo fra tutti Erik Satie i cui inizi, tra il 1891 e il 1895, furono posti sotto l’insegna dapprima dell’ordine esoterico della Rose-Croix esthétique (alias Rose-Croix catholique du Temple et du Graal) fondata da Sâr Péladan e in seguito dell’Eglise Métropolitaine d’Art de Jésus Conducteur di cui egli stesso fu l’edificatore e il solo adepto, impegnato tuttavia a rispettarne scrupolosamente principi, dogmi, rituale e persino a presentarsi come redattore unico (e probabilmente altrettanto unico lettore) del rispettivo «Cartulaire» che, inutile dirlo, ebbe vita effimera, ma il quale testimoniava sicuramente, al di là delle punte polemiche dirette alle personalità parigine più in vista rivelanti fin da principio la militanza causticamente vigile del musicista, la ricerca di una sua collocazione capace di tener conto delle forze intellettualmente attive del momento.

    SATIE A COLORI

    Nessuno, crediamo, sarebbe disposto a giurare sul grado di devozione manifestato da Satie nel culto di tali sette di spiriti eletti, verso le quali l’impegno maggiore fu quello di non fare del proselitismo, secondo quella logica alla rovescia che sarebbe diventata il suo principale e fiero contrassegno.  

    Ciononostante non v’è chi non possa accertare una linea di discendenza dell’impassibilità proverbiale della sua scrittura musicale proprio dalle composizioni nate nel sodalizio con Péladan e dai relativi interessi religiosi: Le Fils des Etoiles, Les Sonneries de la Rose-CroixHymne au drapeauDanses gothiquesLe Prélude de la porte héroïque du ciel e la Messe des pauvres. L’aspetto di arte povera, umile, sorretta da impalcature scheletriche, data nella risonanza di vibrazione consumata nell’immobilità, programmaticamente spoglia di qualsiasi tensione in grado di dare origine a un rapporto drammatico, trova in tale contesto una ragion d’essere e una congruenza di cui sarebbe opportuno tener conto più di quanto non si usi fare quando si tratta di mettere a fuoco la sostanza paradossale delle opere che consentono di avvicinare Satie al Dadaismo. L’appagata purezza di quei frutti giovanili (la siderea trasparenza di una musica disegnata come punti nello spazio imperturbabile) si manifesta infatti in quanto realtà sfuggente al potere dell’individuo di imprimervi le proprie passioni, in uno stato di sublimazione raggiunta e non recante nemmeno il segno di sforzo trascendente, la quale, prima ancora di caricarsi di significato provocatorio nell’affermazione della libertà d’immaginazione preconizzata dalle avanguardie, era apparsa al musicista appunto come qualcosa di simile a una mistica visione sonora, come espressione regolata da rigorosa e oggettiva necessità liturgica (a volte non a caso inclinante verso curiose intonazioni gregoriane).

      SATIE PART

    La ieraticità e il pallore richiamati nelle didascalie già fantasiose dei preludi composti per Le Fils des Etoiles («wagnérie kaldéenne» di Péladan fatta rappresentare in occasione del primo Salon della pittura Rose-Croix nel 1892) rendono assai bene conto del rapporto tra la musica di Satie e l’assunto di un lavoro teatrale impegnato ad evidenziare simboliche corrispondenze col mondo soprannaturale, sicuramente all’origine della sequenza di accordi per quarte sovrapposte risuonante in chiaro effetto di dilatazione spaziale e configurante il preludio del primo atto nel deliberato sforamento dall’elementarità dell’armonia triadica che era già allora caratteristica di Satie. 

    SATIE FOTO 

    Se poi provassimo ad immaginare, alla lettura dello spartito superstite, le sonorità della versione per arpa e flauto, scopriremmo forse un motivo in più per confermare l’interesse per un autore enigmatico probabilmente anche per quanto di inconfessabilmente datato secondo un gusto decadente traspare dalla sua musica. Se quindi, con Schönberg e altri, è legittimo collocare il musicista francese fra i padri della musica moderna, è importante anche rilevare come essa si sia determinata a un certo punto come una improvvisa inversione di senso di un enunciato già pienamente dato in opposta direzione.