• Diario d'ascolto
  • 17 Luglio 2020

    MELODRAMMA IN PROVINCIA

      Carlo Piccardi

    Il gazzettiere Macrobio in un’aria del primo atto de La pietra del paragone di Rossini intona le parole: “Chi è colei che s’avvicina / È una prima ballerina / sul teatro di Lugano / gran furor nel Solimano”. Si potrebbe pensare che il librettista Luigi Romanelli sia caduto sul nome della cittadina ticinese per una semplice ricerca di corrispondenza nella rima.

     

    In verità nel 1807, cioè appena cinque anni prima di questa “burletta in musica” rossiniana, è documentato che l’impresa Carlo Re abbia portato a Lugano Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, completato da un “ballo eroico” di un certo Filippo Ottavo intitolato Selim II, che potrebbe appunto far pensare a quanto menzionato dal poeta.

     PIETRA DEL PARAGONE

    Non è questo il solo episodio in cui Lugano compaia nelle vicende della musica dell’Ottocento.
    Nel 1838, quando Franz Liszt si trattenne sulle rive del Ceresio al riparo dalle ire dei milanesi di cui era divenuto il bersaglio per i giudizi da lui riservati alla loro vita musicale, chiamò Lugano, che allora era poco più di una borgata, “un sale trou”.
    Sarebbe stato troppo pretendere da essa a quel tempo di mettersi in concorrenza con Parigi, Ginevra, Vienna, Venezia e con gli altri centri che il grande concertista inanellava nei suoi lunghi peripli concertistici.
    È evidente che, anche per un musicista che da romantico purosangue non poteva rimanere insensibile all’armoniosa combinazione di lago e monti, la bellezza del paesaggio naturale non bastava a compensare il vuoto di operosità musicale in cui si trovò durante il suo soggiorno luganese.

    List intero  

    Non bastavano gli sforzi del suo anfitrione, il conte Giovanni Grillenzoni, che si era rifugiato sulle rive del Ceresio dopo essersi compromesso con i moti carbonari nel 1822 fissando residenza in una villa alla Muggina di Viganello e sfogando il suo amore per l’arte dei suoni in quello che allora da quelle parti era uno dei pochi modi per far risuonare note di musica in pubblico, cioè come direttore di una corale, una delle prime di cui si abbia notizia. Anche se “Il Repubblicano della Svizzera italiana” del 21 agosto 1838 documentò l’esibizione del grande pianista che concesse al conte il privilegio di “suonare nella di lui casa, abilitandolo in pari tempo a condurvi gli amici che credeva”, concerti del genere a quella latitudine erano praticamente inesistenti.

      IL REPUBBLICANO 1

    In effetti in una regione strutturalmente rurale, priva di centri urbani veri e propri, mancava quella borghesia che consentisse di svilupparvi stabilmente forme di cultura in grado di interagire, al di là della dimensione locale, con quanto poteva essere realizzato nelle città d’Italia e d’Europa. Tanto più tale debolezza si faceva sentire in campo musicale, per una disciplina che abbisognava di un apparato produttivo complesso e costoso, che non poteva darsi senza il sostegno collettivo, per non dire senza istituzioni. Ciò che appare dalle parole spregiative di Liszt è appunto il vuoto istituzionale riguardo alle modalità di trasmissione della cultura, che poteva essere compensato episodicamente ma che già individuava una situazione di fondo con cui, fino in anni a noi più vicini, tale regione sarebbe stata chiamata a confrontarsi.

    Non per questo essa rimase estranea alle cose di musica, a quelle cioè che, mattone su mattone, costruivano l’edificio di una civiltà. Un capitolo ancora da trattare è infatti la diffusione dell’opera teatrale in provincia, a livello statistico non sufficientemente rilevato ma nelle terre italiane esteso al punto da aver raggiunto un grado di penetrazione forse maggiore rispetto alla diffusione della musica strumentale nelle periferie dei paesi tedeschi. Senza contare la diffusa presenza di fantasie e di brani trascritti da opere nel fiorente repertorio bandistico dell’epoca, basterà ricordare la rappresentazione de L’elisir d’amore a Lugano nel 1834 (due anni appena dopo la composizione dell’opera donizettiana) quando la locale società filarmonica prestò i suoi fiati alla compagnia ingaggiata dal piccolo teatro della cittadina, a testimoniare come Lugano fosse inserita stabilmente nei percorsi delle compagnie itineranti che portavano il melodramma nelle regioni di provincia.

     LUGANO
    Lugano

    Nel piccolo teatro dell’allora Piazza Bandoria ogni anno (generalmente in ottobre) una compagnia con tanto di balletto assicurava la sua presenza portando titoli di tutto rispetto.
    Nel 1806 rileviamo la Griselda di Ferdinando Paer, nel 1811 Don Papirio di Pietro Guglielmi, nel 1827 Matilde di Shabran di Rossini, nel 1837 Il furioso di Donizetti, nel 1839 Lucia di Lammermoor sempre di Donizetti, il quale doveva godere di particolare favore se nel 1841 troviamo ancora la sua Gemma di Vergy. Certamente si trattava di piccole compagnie, con orchestre che arrivavano al massimo a venti persone e cori ridotti e poco più di un quartetto. Ciò che però è importante sottolineare è la partecipazione diretta del pubblico all’evoluzione di un genere di cui non arrivava solo il riflesso, ma che veniva vissuto nella sua sostanza, nella realtà estetica della rappresentazione operistica.

     DONIZZETTI
    Gaetano Donizzetti

    L’immagine evocata dal “sale trou” di Liszt andrebbe perciò ridimensionata, nel senso che nella fattispecie Lugano rimaneva periferia estrema e povera di occasioni ma tutt’altro che incapace di esprimere una coscienza musicale all’altezza dei tempi che allora, in quanto terra di civiltà italiana, voleva dire soggetta al primato del melodramma e quindi scarsamente attenta alla realtà del concerto come auspicava l’illustre virtuoso.
    D’altra parte egli non poteva pretendere da un luogo di provincia più di quanto poteva dare Milano stessa, da lui criticata per il livello esecutivo delle manifestazioni musicali non più in grado di reggere il confronto con la realtà dei paesi dell’Europa del nord.