Musica a programma
Se esiste un musicista irriducibile alla categoria di nazione nell’Ottocento è Franz Liszt
il quale dalla carriera di virtuoso del pianoforte fu portato a contatto con i pubblici di tutta Europa e che da tale esperienza fu determinato soprattutto sul piano compositivo, dimostrandosi aperto ad operazioni di sintesi altrimenti inimmaginabili.
Josef Kriehuber (Vienna, 14 dicembre 1800 – ivi, 30 maggio 1876); litografia, 1846. Josef Kriehuber si raffigura in ascolto di Liszt assieme ad altri illustri musicisti: il compositore Hector Berlioz, il pianista e didatta Carl Czerny e del violinista Heinrich William Ernst (Bologna, Fondazione Istituto Liszt).
La pratica stessa del poema sinfonico, di cui è considerato l’iniziatore, se da una parte lo pone in linea con il cosiddetto movimento neoromantico tedesco (accanto a Wagner per intenderci e all’idea di una «musica dell’avvenire»), dall’altra non è altro che il tentativo di cogliere un nucleo di sviluppo maturato con Berlioz nell’area culturale francese, dove storicamente la musica risultava associata a spunti programmatici di origine letteraria o pittorica.
E. Delacroix: Torquato Tasso nella prigione di Sant'Anna.
Non per niente proprio il Tasso di Liszt diede lo spunto a Saint-Saëns (Harmonie et mélodie, Parigi 1885) di tessere la difesa della musica a programma allora assai dibattuta.
Il problema che si poneva derivava dall’opposizione di «musica assoluta» bastante a se stessa e musica a programma appunto, la quale per il fatto di essere giustificata da un soggetto extramusicale non appariva autonoma e perciò era spesso giudicata inferiore.
Camille Saint-Saëns
Per Camille Saint-Saëns ciò non era altro che un falso problema, che peraltro non si poneva solo per la musica ma pure per la pittura: «Un quadro non rappresenterà mai Adamo ed Eva a uno spettatore ignaro delle vicende bibliche; non potrebbe rappresentare altro che un uomo e una donna nudi in mezzo a un giardino. Tuttavia lo spettatore o l’ascoltatore si prestano a meraviglia a tale soverchieria consistente ad aggiungere al piacere degli occhi o delle orecchie l’interesse e l’emozione di un soggetto. Non c’è ragione per rifiutargli tale piacere: non ce n’è d’altra parte per accordarglielo. La libertà è completa: gli artisti ne approfittano e fanno bene. Ciò che è incontestabile è che il gusto del pubblico lo porta, ai nostri giorni, verso il quadro a soggetto e la musica a programma, e che il gusto del pubblico, in Francia perlomeno, ha trascinato gli artisti in questa direzione». Si dà così il fatto che, benché su questa linea si ponga chiaramente Richard Strauss, Liszt abbia avuto più seguaci in Francia che altrove.
Lord Byron
D’altra parte il rapporto col programma in Liszt non è così trasparente come si potrebbe pensare. Nel programma stampato per l’edizione definitiva del Tasso (1856), così scriveva Franz Liszt: «Il triste destino del più sfortunato dei poeti ha colpito ed acceso la fantasia dei più alti geni poetici del nostro tempo, Goethe e Byron [...]. Non posso fare a meno di confessare che quando fui incaricato di scrivere una ouverture per il dramma di Goethe, mi sono più direttamente ispirato alla rispettosa compassione di Byron per i mani del grand’uomo che egli evocava, che all’opera del poeta tedesco».
Non alla vicenda in sé teatralmente rappresentabile Liszt era quindi interessato, bensì all’idea poetica che vi stava alla base. D’altronde già nel 1837 egli aveva scritto: «Il musicista che trae ispirazione dalla natura, ma senza copiarla, traduce in suoni i più intimi misteri del suo destino. Egli pensa, sente, parla in musica; ma poiché il suo linguaggio, più arbitrario e meno definito di tutti gli altri, si piega a una moltitudine di interpretazioni diverse, non è inutile e tantomeno ridicolo che il compositore tracci con poche linee lo schizzo psichico della sua opera, dica ciò che ha voluto fare, e senza addentrarsi in spiegazioni puerili, in dettagli minuziosi, esprima l’idea fondamentale della sua composizione».
In effetti è significativo che Liszt non abbia praticamente mai assunto soggetti di tipo drammatico-narrativo, come ha acutamente fatto notare Rossana Dalmonte nella sua monografia lisztiana. Nel Tasso non c’è la storia del poeta, ma più che altro la sua palingenesi, il trionfo nel tempo desumibile dal canto dei gondolieri veneziani che sui versi della Gerusalemme intonano la melodia che Liszt adotta come nerbo del proprio poema sinfonico e che, proprio a denunciare il rifiuto della tecnica narrativa, non si presenta già sotto le spoglie di un Leitmotiv ma di un’idea confrontata alle molteplici permutazioni ritmiche, armoniche, strumentali, ecc. come esaltazione cioè di un valore simbolico.
Franz Liszt and some of his famous students in Weimar, 22 October 1884, his birthday.
From the left upper row: Moritz Rosenthal, Viktoria Drewing, Mele Paranioff, Franz Liszt, Annette Hempel-Friedman, Hugo Mansfield
Lower row: Saul (Sally) Liebling, Alexander Siloti, Arthur Friedheim, Emil Sauer, Alfred Reisenauer, Alexander Wilhelm Gottschalg
Louis Held Im Alten Weimar Fotografien 1882-1919, Weimar 2008)
Il poema sinfonico costituiva quindi per Liszt la possibilità di individuare una via di progresso della musica la quale, insieme all’assunzione di compiti etico-sociali legati all’esemplarità dell’assunto, riuscisse ad abbattere i convenzionalismi affondando al livello più autentico dell’espressione.
Proprio la musica a programma, liquidata dal Novecento come ingenua concezione ottocentesca, era vissuta come momento emancipatore: «La musica a programma non è altro per l’artista che un pretesto per tentare vie nuove, e gli effetti nuovi richiedono mezzi nuovi» (Saint-Saëns). E proprio a quella fonte si nutre l’audacia del linguaggio lisztiano nel suo profilo spesso sghembo, arbitrario, provocatorio che sta per essere rivalutato alla luce dei caratteri anticipatori di audaci soluzioni novecentesche.