Opera buffa francese
Les Troqueurs, opera buffa in un atto di Antoine d’Auvergne (1713-1797), furono rappresentati per la prima volta alla Foire Saint-Laurent nel luglio del 1753,
in un ambito in cui, unitamente alla Foire Saint-Germain, fin dal 1679 era autorizzata la rappresentazione di pièces foraines in alternativa alle paludate opere che tenevano cartellone sulla scena dell’Académie Royale de Musique.
In verità, più che in situazione dialettica, il rapporto intercorrente tra il teatro reale dell’opera e l’attività svolta nelle fiere era più che altro di tolleranza, imponendo esso una gerarchia in cui le manifestazioni di teatro popolare – in quanto subalterne – erano soggette a limitazioni di ogni tipo. Nel 1699 fu proibito di mettere in scena alla fiera commedie dialogate, nel 1704 non vi si potevano rappresentare che scene staccate, nel 1705 anche le scene staccate furono vietate, nel 1708 due compagnie poterono acquistare il privilegio di rappresentare commedie con canto e danza mentre le altre erano obbligate ad esibirsi «à la muette», nel 1710 il divieto di parlare imposto ai forains da Luigi XIV venne aggirato per mezzo dell’impiego di cartelloni (écriteaux) e via di seguito.
Anziché spegnere la vitalità del genere popolare tali vincoli non fecero altro che attizzare il fuoco dell’espressione spontanea la quale, nel corso obbligato degli eventi, riusciva pur sempre a darsi e a sviluppare forme capaci di preservare una loro autenticità e una loro organicità. A questo livello inoltre era già registrabile una discreta influenza italiana in un assetto che univa la tecnica della commedia dell’arte a quella della farsa francese.
In questo senso è innegabile che l’attività operistica subalterna dei teatri della foire abbia predisposto il terreno all’affermazione completa, prepotente, del gusto italiano nel 1752, quando la rappresentazione de La serva padrona di Pergolesi all’Académie Royale come intermezzo tra un atto e l’altro di una tragédie lyrique di Lully (Acis et Galatée) scatenò la ben nota querelle des bouffons.
Tale battaglia giornalistico-filosofica, a colpi di pamphlets (una settantina di pubblicazioni tra il 1752 e il 1754), vide impegnati Diderot, D’Alembert, Rousseau, Grimm, Rameau e molti altri esponenti della cultura che, di fronte al successo delle opere buffe italiane in Francia, rinfocolarono la vecchia polemica sulla superiorità della musica italiana rispetto a quella francese risalente al saggio di Raguenet (Parallele des Italiens et des Français en ce qui regarde la musique et les opéras, 1704).
Rousseau, in particolare, essendo entrato in contatto con tal genere di musica durante il suo soggiorno veneziano e avendo composto in quello stile Le Devin du village, fu il più motivato assertore della nuova maniera che nella sua concezione assumeva ovviamente risvolti filosofici. Nella Lettre sur la musique française, uscita appunto in margine alla querelle, egli affermava la supremazia della musica italiana sulla base della lingua, secondo l’argomentazione più diffusamente articolata nell’Essai sur l’origine des langues. V’è poi l’aspetto drammaturgico che, in una situazione in cui la tragédie lyrique coi suoi temi dominava sul teatro comico (in Francia praticamente ignorato), con l’irruzione della quotidianità sulla scena musicale registrava una svolta a dir poco storica.
In questo contesto Les Troqueurs di D’Auvergne si collocavano in posizione centrale, sia in quanto sviluppo della tradizione foranea, sia come vistoso esempio di adattamento dei criteri stilistici italiani a un prodotto capace di rimanere autenticamente francese. Il libretto di Joseph Vadé, tratto da La Fontaine che, pur ripulito delle implicazioni filosofiche, anticipa curiosamente Così fan tutte (Lubin e Lucas, insoddisfatti delle loro amanti Margot e Fanchon, decidono di scambiarsele, pentendosene amaramente allorquando queste nel ruolo rovesciato si manifestano ancor più insopportabili), ha dato luogo a un’opera buffa in piena regola.
In un rapporto di mimetismo perfetto, Les Troqueurs furono messi in scena senza nome d’autore, ma facendo correre la voce che si trattasse di un compositore italiano attivo a Vienna. Solo dopo il successo dell’operazione fu rivelato il nome di Antoine D’Auvergne il quale, dedicatosi in seguito all’organizzazione (fu tra l’altro sovrintendente alla sorti dell’Opéra ai tempi di Gluck), al di fuori dell’arroventata epoca delle polemiche sul nuovo genere di teatro non ebbe più modo di ritrovare le risorse che di questo suo lavoro fanno sicuramente una testimonianza geniale.