• Diario d'ascolto
  • 23 Gennaio 2023

    PATERNITÀ ARTISTICA

      Carlo Piccardi

    La musica, come ogni altro fatto pubblico, si nutre anche di casi e di polemiche. Una di queste, risalente al gennaio 1989, fu la rivelazione del compositore italiano Vieri Tosatti pubblicata in prima pagina sul «Il Giornale della Musica»: «Giacinto Scelsi c’est moi». Dove stava il caso? Nel fatto che, a pochi mesi dalla morte dell’ottantaduenne Scelsi veniva dichiarato che la sua musica era stata scritta da un altro, suscitando scalpore nell’ambiente musicale internazionale che nel nome di Scelsi aveva individuato un nuovo punto fermo, un nucleo di soluzioni estetiche da cui far addirittura dipartire un ulteriore sviluppo della musica.

    Articoli di rivista (il periodico svizzero «Dissonanz» gli riservò alcune pagine), numeri speciali, dischi in quell’occasione furono dedicati alla figura di Scelsi. Nella presentazione di un CD pubblicato in quel periodo leggemmo addirittura, a firma di Harry Halbreich: «Un intero capitolo della storia della musica recente dev’essere riscritto: la seconda metà del secolo non è più pensabile senza Scelsi».

    Che significato dobbiamo quindi attribuire alla dichiarazione di Tosatti? Ignorarla, sospendere il giudizio fino a quando non ci sarà un processo che ne potrà appurare la verità, semplicemente negarla o contraddirla? Secondo me niente di tutto questo. Che si facciano delle verifiche per stabilire la credibilità dell’affermazione sarebbe anche opportuno (e non dovrebbe nemmeno essere difficile, ricontrollando la grafia dei manoscritti), ma qualsiasi conclusione ne risulti non potrebbe cambiare di una virgola il ruolo che questa musica si è guadagnata nel contesto dello sviluppo dell’ultimo mezzo secolo. Anzi, paradossalmente proprio l’accertamento della falsa paternità di Scelsi in certo qual modo ne rafforzerebbe il valore. In questo caso infatti saremmo costretti a prendere atto di una realtà, alla quale la pratica dimostra ancora come sia difficile rassegnarsi. Cioè il fatto che l’opera d’arte uscita dalle mani del suo artefice cambia di proprietario: diventa un oggetto sociale, culturale, pubblico, in cui qualsiasi richiamo alla biografia del creatore rimane accidentale, accessorio, sovrastrutturale. Solo l’individualismo romantico (accentratore delle responsabilità nell’artista) ci indurrebbe al contrario: avendolo ereditato nella nostra cultura, e avendolo adottato come principio informatore della legislazione del diritto d’autore, ne scontiamo ovviamente le conseguenze. Oggi ancora continuiamo cioè a propagare l’idea dell’artista demiurgo il quale, più che agire nella società, agisce al di fuori di essa quasi per grazia divina.

     VIERI TOSATTI
    Vieri Tosatti

    Di un’altra verità saremmo inoltre indotti a tener conto, del fatto che l’opera d’arte (a un certo livello di complessità) diventa il prodotto della divisione del lavoro, della somma di competenze di individui diversi. Tosatti ha raccontato come si svolgeva l’attività con Scelsi: da una parte il datore di lavoro (ricco, aristocratico discendente da un vecchio casato della nobiltà meridionale) che presentava le sue idee al pianoforte o su foglietti (rudimentali o sviluppate poco importa) e dall’altra il compositore a pagamento che le traduceva sulla partitura, integrandole con nuovi elementi pure discussi e approvati dall’autore titolare. Ci sono elementi a sufficienza per stabilire un ordine di responsabilità, verificabile d’altronde nel fatto che la musica ufficialmente nota come composta da Vieri Tosatti possiede caratteristiche diverse e non si è quindi affermata allo stesso titolo di quella che porta la firma di Scelsi.

    D’altra parte situazioni simili sono sicuramente capitate anche in passato e in altre discipline: dai collaboratori di Michelangelo che lavoravano nella sua bottega e che sicuramente lasciarono del loro nella realizzazione pratica dei suoi lavori, al celebre violinista Joachim che collaborò con Brahms nella definizione della parte solistica del suo concerto per violino, alla Rapsodia in blu scritta di Gershwin per due pianoforti, strumentata e ristrutturata da Ferd Grofé per pianoforte e orchestra, ecc.

     Casa museo di Giacinto Scelsi
    Casa Museo di Giacinto Scelsi

    La civiltà del Novecento, intensificando a livello di spettacolo il confluire di varie discipline artistiche in un unico messaggio, ha posto le premesse per la revisione del modello dell’artista creatore, impersonato nella figura del regista (un termine che non a caso è stato inventato nel nostro secolo), figura che sta a designare un ruolo di coordinazione più che di creazione diretta, un ruolo che corrisponde quindi meglio alle esigenze odierne. Il caso Scelsi dovrebbe forse far riflettere su questa articolazione di funzione che ovviamente concerne anche la musica, anche se essa tende a subire i modelli duri a morire della tradizione.

    Foto di copertina: Giacinto Scelsi al pianoforte