PERGOLESI PARAFRASATO DA BACH
Nessun compositore al pari di Bach (che trascriveva Palestrina, Frescobaldi, Vivaldi, ecc.) si è mai sentito sollecitato a convivere con ciò che era diverso dal suo linguaggio e dalla sua maniera. Senza attendere il giudizio dei critici è proprio in quest’ambito che la posizione di Bach, confrontata con premesse estetiche diverse (perfino opposte alla sua), viene messa a fuoco dall’autore stesso in una prospettiva dialetticamente motivata.
Giovan Battista Pergolesi
Lo testimonia esemplarmente la sua ‘parodia’ del celebre Stabat mater di Pergolesi. Come nelle trascrizioni dei concerti vivaldiani (per organo o per vari clavicembali e orchestra) anche nella parafrasi in questione, dal titolo Tilge, Höchster, meine Sünden, Bach non vi è presente come semplice traduttore, bensì come rielaboratore, al punto da sovrapporre la sua personalità a quella dell’autore originale, il quale ne viene stravolto. Direi che l’operazione tentata con Pergolesi è ancor più significativa del rapporto tra Bach e Vivaldi.
Innanzitutto è importante riconoscere il significato detenuto da Pergolesi nella cultura europea dell’epoca. Di lì a poco la Serva padrona sarebbe infatti stata indicata dagli enciclopedisti impegnati nella “querelle des bouffons” come la riscoperta dei valori dell’espressione naturale del canto opposta all’artificiosità del teatro musicale francese. Ma fu proprio lo Stabat mater a portare in Europa il messaggio dell’Illuminismo, di una religione ridotta a teismo su basi emotive, a sentimento che, prendendo lo spunto dalla compassione nei confronti della figura della Vergine ai piedi della croce, coinvolgeva l’ascoltatore al di là dell’ossequio ai valori teologici.
Non a caso il capolavoro di Pergolesi ebbe una diffusione straordinaria, accertata dalle centinaia di copie ancora conservate in molte biblioteche del continente. Non a caso Bach vi interviene pesantemente, non solo adattandovi un testo tedesco (quello del Salmo 51) ma disponendolo in modo ‘strategico’ sulla musica, operando (per mezzo delle ripetizioni di parole chiave, molto meno frequenti in Pergolesi) in modo da farne uscire i valori nascosti, simbolici, ecc.
Ovviamente il suo intervento non si ferma qui e riguarda la propria concezione estetica nella misura in cui, con tutto il rispetto dell’invenzione pergolesiana, ne contraddice l’aspirazione alla trasparenza, agli equilibri simmetrici, l’apertura verso un mondo espressivo esaltante la naturalezza a scapito della dottrina.
Già nella disposizione delle due voci solistiche il Lipsiense modifica nei duetti la concatenazione di ‘domanda’ e ‘risposta’, non condividendo la chiarezza delle cesure pergolesiane e anticipando le ‘repliche’ da una voce all’altra in modo concatenato, ad imitazione.
Nell’aspetto strumentale, con l’articolazione della parte di secondo violino come autonoma parte reale e con l’aggiunta di una parte di viola, l’addensamento di voci recupera la sostanza di un discorso che viceversa Pergolesi aveva inteso diradare, esaltando la predominanza dei valori autonomi della melodia e dell’armonia.
Rivendicando la portata dei valori costruttivi e simbolici del contrappunto (di regole dettate al di là della capacità dell’individuo di chiederne ragione) con tale operazione Bach in un certo senso esorcizzava Pergolesi, annullandone la forte carica innovativa e richiamandolo al rispetto del patrimonio di valori dottrinali del passato.