RIFLESSI DEL JAZZ IN EUROPA
Nella storia della cultura non sarà mai abbastanza considerato lo sconvolgente segno lasciato dalla prima guerra mondiale. Non solo essa chiudeva il capitolo di un secolo che aveva cullato l’illusione del tempo fermato nelle sue estenuate forme di decadentismo e di epigonismo, ma aveva anche profondamente contribuito a mettere in crisi il principio di eurocentrismo, il cui venir meno rappresenta un fattore accostabile al processo di usura interna del linguaggio, per importanza nello sviluppo dell’arte musicale occidentale oltre le prospettive dissolutrici.
In fondo già i risvegli nazionalistici sorti da istanze idealistiche ma indotti dalla ricerca di identità a scoprire livelli arcaici o marginali rispetto alla cultura dominante, in determinati casi (Stravinsky, Bartok, ecc.) disvelando una diversa organicità linguistica aprirono falle irreparabili nell’unità e nell’omogeneità dei mezzi di espressione musicale.
Ora non è un caso che tutte queste mutazioni siano avvenute a ridosso o come conseguenza del grande conflitto mondiale il quale, cancellando dalla carta d’Europa i confini dei grandi imperi sopravvissuti come entità iperboliche a potenti realtà centrifughe, agì profondamente come soluzione di continuità retta da desuete motivazioni centrifughe. Non per niente se fu la stessa guerra a riaccendere in Stravinsky la ragione di un nazionalismo russo, che trovò il suo scopo nella valorizzazione del patrimonio etnico delle favole e dei canti della vecchia Russia, fu la sua fine a segnare l’affievolimento delle stesse ragioni e l’apertura di una fase (quella neoclassica) ormai sciolta da intenzioni di ricerca di identità.
Igor Stravinsky in un disegno di Pablo Picasso
Soprattutto la guerra, avendo indotto a intervenire nel destino d’Europa paesi d’oltremare, ufficializzava nuovi rapporti attraverso i quali non era più possibile garantire una gerarchia di valori una volta di più risolta a favore del vecchio continente. Il contributo degli Stati Uniti alla svolta decisiva del conflitto, l’irruzione del peso economico della potenza nordamericana, indussero l’Europa di poi ad agire a porte spalancate sul resto del mondo.
Emblematica appare una composizione come il Ragtime di Stravinsky (1918) che rende già assai bene conto di un livello simpatetico che, all’attivismo sfrenato del jazz sottoforma di frenetica manualità strumentale, fa corrispondere l’essenza di una musica parimenti riduttiva rispetto alla sostanza allusiva del linguaggio musicale, e ugualmente personificata nella materialità timbrica degli strumenti. Nel suo Ragtime Stravinsky ha saputo istintivamente riprodurre l’estroverso divisionismo timbrico di un linguaggio le cui crude sonorità adombravano una formidabile lezione di estetica capace di liquidare senza il minimo rimpianto la stagione del sentimento ostentato e dei suoi residui
Pablo Picasso, Disegno per la copertina di Ragtime
Certamente in questa composizione la voce del clarinetto risuona cupa nel registro basso nella maniera vagamente spiritata con cui lo strumentale accompagna i suoi canti russi dell’epoca e incapace di abbandonarsi agli esilaranti acuti dei virtuosi afro-americani. Parimenti non bastano i glissandi del trombone o i gargarismi della tromba in sordina a sottrarre questa musica al profilo popolaresco di una scrittura che, attraverso la presenza dei martellanti e arruffati arabeschi del cymbalum, vincola il discorso al recupero di una arcaica identità contadina europea.
In verità non vi è nulla di spurio in tale combinazione, al punto che la singhiozzante catena di sincopazioni riprodotta come calco ritmico della danza d’oltreoceano può addirittura apparire come una filiazione della dirompente eccitazione ritmica che aveva travolto le sue opere fauves e che, nella configurazione stilistica delle composizioni nate durante la guerra, continuava ad affermare il principio dell’iterazione ossessiva.
In questo senso è comprensibile che Stravinsky non avesse nulla da imparare dal jazz, che egli semplicemente incontrava sulla strada di una ricerca che aveva gettato premesse di linguaggio in parte assai simili. L’interesse nasceva appunto dalla sensazione di veder confermata tale direzione in un’espressione musicale proveniente da un contesto geografico e culturale lontano, che soprattutto si presentava come spontanea rivendicazione di massa di ragioni estetiche di chiaro fondamento attivistico e edonistico.
Igor Stravinsky
Come fenomeno sociale il modello dell’intrattenimento americano tracciava una linea netta di demarcazione rispetto alle esigenze del divertimento ancora dominante nell’Europa del primo ventennio del secolo, abolendo qualsiasi forma di cedimento nostalgico a lirismi enfatici ormai appassiti. Irrobustita da sferzante nerbo ritmico capace di scandire il suo gesto travolgente nell’appello alla concretezza di una timbrica ridotta al denominatore di suoni percepiti nella loro sensuale fisicità, l’espressione nordamericana non solo conquistava l’Europa, ma le consentiva di abbreviare la distanza tra le pratiche popolaresche del divertimento e i livelli più avanzati dell’esperienza culturale.
In effetti gli anni Venti furono il decennio del secolo in cui il radicale mutamento del costume introdusse nelle attività di intrattenimento uno slancio, in cui l’accesa componente di novità indusse i protagonisti del rinnovamento artistico a entrare in rapporto dialettico con le forme leggere dell’espressione, non più considerate come manifestazioni marginali e subalterne della parte peritura della cultura, bensì come rivelazione di un filone rigenerato di esperienze socializzanti, in grado di conquistare una posizione a cui la cultura potesse tornare a guardare come a un punto di partenza.
Dmitri Šostakóvič e Sergej Prokof’ev
È una premessa che valeva per il Gruppo dei Sei in Francia (Milhaud, Honegger, Poulenc, Auric, ecc.), per Hindemith, Weill, Krenek in Germania, per Prokof’ev, Šostakóvič, Mosolov in Russia, per Bohuslav Martinu e Emil Burian di Cecoslovacchia, per Constant Lambert in Inghilterra e per molti altri.
Finora tali esperienze sono state trattate come episodi più all’interno di singole biografie artistiche anziché come un capitolo di civiltà. Un suo studio globale potrebbe essere esemplare come messa a fuoco di un livello di coscienza estetica in fondo non ancora sorpassato.