• Diario d'ascolto
  • 19 Agosto 2021

    SIMBOLI IN MUSICA

      Carlo Piccardi

    Le etichette che identificano i movimenti artistici a volte, più che orientare la comprensione del relativo fenomeno, lo sviano. Ciò si verifica soprattutto quando una denominazione trasmigra da una disciplina all’altra.

    Il termine “impressionismo” applicato alla musica di Debussy e di Ravel si è rivelato ad esempio riduttivo, per cui oggi risulta piuttosto scavalcato da un’altra definizione (“simbolismo”), più problematica certamente, ma più intrigante, che è venuta a mettere in luce gli aspetti spiritualistici di quella musica, la quale sotto il primo referente era spesso considerata un gesto decorativo. La maggiore appropriatezza del termine può essere misurata già a partire da una significativa opera giovanile di Debussy, La Demoiselle élue (1887) su un poema di Dante Gabriel Rossetti, evocante la fanciulla eletta che in cielo attende mesta che l’amato la raggiunga per ascendere con lui alla destra di Dio.

    Debussy foto
    Claude Debussy

    La demoiselle elue
      

    L’incorporeità del suono, la sospensione del tempo, primeggiano in forme impalpabili come traccia di corpi spariti in cui la distanza tra il suono e ciò a cui allude accende una tensione in grado di portare all’allucinazione, alla percezione di luci e di colori. Orbene, questa mistica del suono percorre la musica europea tra Ottocento e Novecento, attraversando esperienze apparentemente lontane le une dalle altre.

    La ritroviamo nel finale corale della Sinfonia n. 8 (“dei mille”) di Mahler, sull’esempio di suono trasceso che viene dal Parsifal. In uno stato di maggiore rarefazione ricompare in Die Jacobsleiter, l’oratorio di Schönberg che nel 1912 intravvide già la possibilità della ricomposizione astratta del discorso musicale per mezzo della dodecafonia.

    Schoenberg autoritratto 
    Arnold Schönberg, Autoritratto

    Schoenbergs envisaged sunrise backdrop for Scene II Oil on cardboard dated no later than October 1910 
    Arnold Schönberg, Die glückliche Hand, bozzetto di scena per il secondo atto.

    Lo stato di incantamento attraverso il suono, che Schönberg condivide col moderno simbolismo russo di Skryabin, accentua la valenza evocativa della musica in Die glückliche Hand (1909-1913).

    Dell’importanza di tale filone estetico testimonia un’opera teatrale tedesca che rese fama a Franz Schrecker, musicista la cui importanza sta proprio nell’avere in un certo qual modo trovato il registro per tradurre la dimensione simbolistica della musica al livello della comprensibilità del pubblico esteso del teatro musicale. Der ferne Klang (Il suono lontano) è il titolo quasi programmatico della sua opera composta nel 1912 e allestita a ripetizione in tutti i teatri tedeschi per vari decenni.

    Schreker ritratto
    Franz Schrecker

    È la vicenda di un artista di provincia che rincorre per tutta la vita ossessivamente un  ideale sonoro irraggiungibile. È quindi il suono stesso che diventa protagonista dell’opera, attraverso una ridda di soluzioni timbriche trascese e ipnotizzanti, capaci di mettere a nudo una fondamentale aspirazione estetica dell’epoca.

    Immagine di copertina
    Franz Schrecker, Der ferne Klang, allestimento dell'Opera di Francoforte, 2019.