Trascrizioni
A testimoniare fino a che punto la trascrizione di un’opera musicale possa prendere il sopravvento sull’originale sta la celebre orchestrazione di Ravel dei Quadri di un’esposizione di Musorgskij.
Nessuna statistica è mai stata allestita ma non diciamo certamente il falso sostenendo che la versione con orchestra è più frequentemente eseguita di quella originale per pianoforte; al punto che l’orecchio dell’ascoltatore moderno non usa fare il confronto tra le preziosità strumentali di Ravel e l’originale scrittura pianistica, ma viceversa, in un rovescio di rapporto che in fondo non ha mai permesso alla composizione pianistica del grande russo di rivelarsi completamente in tutti i suoi significati.
Nella fattispecie la giustificazione addotta è quella che invoca per Ravel la nozione di “trascrizione d’autore”, elevando la dignità del trascrittore al rango di quella del compositore. In verità, a partire dall’epoca romantica, non c’è più stato posto per il ruolo di trascrittore, ammesso solo nella misura in cui egli fosse in grado di presentarsi come coautore, espropriando una parte consistente dei diritti del primo creatore.
Tale problematica si chiarisce immediatamente se poniamo tale situazione a confronto con il significato della trascrizione nelle epoche precedenti.
Prendiamo il caso più noto: quello di Bach che trascrive i concerti di Vivaldi per organo. Per quanto l’intervento del grande compositore tedesco abbia lasciato un segno profondo sulla resa dell’opera, mai Bach ritenne di arrogarsi il diritto di esserne coautore. Non si trattò mai infatti di lavori messi in circolazione con l’intento di porli in concorrenza con i modelli originali, bensì di operazioni di laboratorio privato, di tentativi di lettura che mettevano Bach nella stessa condizione di un interprete strumentale alla ricerca dell’accento giusto, del fraseggio giusto, di ciò che era più opportuno mettere in evidenza fra le varie voci.
La fase di passaggio si può identificare nella generazione dei primi grandi virtuosi ottocenteschi (Paganini, Liszt, ecc.). Quando Liszt strabiliava il pubblico improvvisando sui temi delle opere di successo del suo tempo (Norma, Rigoletto, ecc.), nel momento esecutivo egli recava essenzialmente un servizio a Bellini, Verdi, ecc. Nel momento in cui però le sue parafrasi vennero pubblicate ed eseguite da altri pianisti, ecco che l’esecuzione veniva ad essere messa al servizio del trascrittore.
Quadri di un'esposizione, Il vecchio castello
A proposito dei Quadri di un’esposizione pochi sanno che un’orchestrazione fu operata nel 1874 da Michail Tušmalov e Nicolai Rimskij-Korsakov.
La trascrizione è sempre da intendere come chiave di lettura, allo stesso titolo dell’interpretazione di un pianista, che di un’opera illumina una faccia diversa da quella messa in luce da un altro interprete.
Orbene, qualcuno al clarinetto a cui Tušmalov e Rimski hanno affidato la melodia dell’ebreo povero preferirà l’opaca immagine sonora della tromba in sordina usata da Ravel, ma non potrà negare l’accento di verità che attraverso il clarinetto ci riporta al timbro lamentoso della musica yddisch, così come la cupezza delle soluzioni strumentali e le fatali sottolineature ritmiche della percussione nella trascrizione del 1874 restituiscono più autenticamente la tragica dimensione russa del capolavoro.
L’importante è rendersi conto che il vero discorso musicale non approda a quelle immagini sonore come a un traguardo bensì se ne deve servire come punto di partenza.
V. Kandinsky, La grande porta di Kiev