• Diario d'ascolto
  • 30 Agosto 2020

    WLADIMIR VOGEL: COMPOSITORE EUROPEO

      Carlo Piccardi

    Nato a Mosca il 29 febbraio 1896 da padre tedesco e da madre russa, Wladimir Rudolfowitsch Vogel si trovò fin dall’adolescenza a subire l’effetto di esperienze determinanti: l’incontro con Alexandr Skrjabin (la cui spinta spiritualistica oltre i confini della tonalità e la cui inconfondibile scrittura influenzarono i primi brani pianistici del Nostro) e il senso di rottura prodotto dalla Grande Guerra e dalla Rivoluzione d’Ottobre, il cui significato di riscatto sociale avrebbe per molto tempo marcato le sue idee politiche.

     

    Trasferito in Germania con l’intera sua famiglia nel 1918, egli fu posto immediatamente di fronte a un primo problema d’identità, di artista impegnato a farsi strada tra le posizioni più avanzate dell’ambiente musicale della madrepatria senza respingere il patrimonio della cultura russa d’origine. La scelta di diventare allievo di Ferruccio Busoni, di una figura illustre impegnata nell’affermazione del principio di una «Nuova Classicità» (equilibrio tra idea e forma), si iscrive appunto nella consapevolezza di dover dominare la prepotenza delle pulsioni passionali e soggettive della componente slava della sua personalità attraverso la ricerca di un ordine da riscoprire nell’eredità della cultura musicale occidentale.

    Foto Vogel Busoni
    “Wladimir Vogel (sulla destra) nella classe di perfezionamento tenuta da Ferruccio Busoni (seduto al centro) all’Akademie der Künste a Berlino. Da sinistra a destra sono riconoscibili gli altri allievi ammessi: Kurt Weill, Walther Geiser, Luc Balmer”

    Gli anni berlinesi sono dunque da intendere come anni di formazione, in cui la sua scrittura saggia molteplici direzioni, dal primato assegnato ai valori espressivi (gli Sprechlieder del 1922 che, nell’unione di cantato e parlato, anticipano già gli importanti esiti dei decenni successivi), alla polifonia dissonante e politonale della Komposition für ein und zwei Klaviere (1923), al costruttivismo di brani quali l’Etude-Toccata per pianoforte (1926) esaltante i valori motorico-dinamici. Ciò era anche il risultato dell’intensa frequentazione di ambienti artistici che fin da allora ne determinarono l’allargamento degli interessi al di là della musica, soprattutto il gruppo «Sturm», il «Bauhaus» e la «Novembergruppe», quest’ultima importante anche per le implicazioni di impegno politico assegnate al compito del moderno artista che, insieme a molti altri musicisti di sinistra, spinsero Vogel in quel periodo a comporre canti e cori operai.

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    “Luigi Dallapiccola, Aline Valangin, Laura Dallapiccola, Wladimir Vogel a Venezia in occasione dell’esecuzione dei Sei frammenti da “Thyl Claes” al Festival internazionale di musica contemporanea (1948)” 

    L’affermazione e la fortuna di Vogel furono raggiunte con gli Zwei Etüden für Orchester (1930), diretti per la prima volta da Hermann Scherchen, e con il successivo oratorio Wagadu il quale non poté tuttavia godere della prevista prima esecuzione berlinese a causa dell’avvento del nazismo che, insieme a molti altri artisti di prima linea, costrinse il musicista all’esilio. Gli anni dal 1933 fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale segnano la sua affermazione internazionale, in particolare con la sua partecipazione attiva ai festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea (Firenze, Barcellona, Varsavia, ecc.), ma nel contempo costituirono un periodo di precarietà esistenziale determinata dallo statuto di profugo. 

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    “Vogel al lavoro nel giardino della residenza La Barca a Comologno”

    Giunto in Svizzera per la prima volta nel 1933 ospite di Scherchen a Riva San Vitale (per la preparazione della sessione di studi «15 anni di Nuova Musica» di Strasburgo, in cui fu assistente del grande direttore), vi poteva soggiornare solo con visto turistico, obbligato ad abbandonare il suolo elvetico ogni tre mesi e con la proibizione di svolgervi attività remunerata.
    Pur soggiornando a Parigi, Bruxelles e in altri luoghi, il legame con la Svizzera prese tuttavia il sopravvento soprattutto grazie all’aiuto ottenuto da privati; fra questi due personalità che più tardi avrebbero con lui animato la vita culturale asconese, Wladimir Rosenbaum e Aline Valangin la cui casa di Zurigo era in quegli anni luogo d’incontro di intellettuali, fuorusciti di Germania e Italia. Attraverso la loro residenza di Comologno («La Barca») avvennero i suoi primi contatti con il Ticino. A Comologno nel 1936 egli avrebbe addirittura organizzato un corso di musica dodecafonica affidato a Willy Reich. Proprio a quel periodo risale infatti l’avvicinamento alla Scuola musicale di Vienna, in parte dichiarato nell’Epitaffio per Alban Berg per pianoforte, composto dopo la notizia della morte del grande compositore, e gradualmente maturato con l’adozione della tecnica dei dodici suoni attraverso il Concerto per violino (1937) e i Madrigaux per coro a cappella composti a Comologno nel 1938-39.

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    “Programma dei corsi estivi per la musica organizzati da Vogel a Comologno”  

    Lo scoppio della guerra significò per Vogel l’inizio di un periodo estremamente problematico. Confinato a Comologno senza possibilità di lavoro e di libero movimento, senza la garanzia di una sicura residenza, l’opera sua maggiore di quegli anni (Thyl Claes) affonda la sua verità non solo nel sotteso messaggio di lotta contro l’oppressione alle altezze spirituali in cui vi è espresso, ma anche in una oggettiva condizione individuale di «segregazione» che ne fa una testimonianza profondamente vissuta. Tale dramma-oratorio, commissionato dal coro parlato «Les Renaudins» di Bruxelles dopo il successo di Wagadu presentato in prima esecuzione nel 1935 nella capitale belga appunto, consta di una prima parte composta nel 1937-38 che non poté però venire eseguita a causa dell’invasione del Belgio da parte dei nazisti nel 1939. La seconda parte fu composta nel 1943-45 su incarico di Radio Ginevra, dove il 19 maggio 1943 era stata presentata in prima mondiale la prima parte, e fu diretta come la precedente da Ernest Ansermet. Concepito come esteso campo d’azione di coro parlato e di recitanti, esso si pone al centro della creatività di Vogel come messa a punto dei rapporti musica-parola nei suoi molteplici aspetti e come approfondimento della tecnica dodecafonica che informa integralmente la seconda parte del lavoro.

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    “Wladimir Vogel con Valeska Lindtberg a Comologno negli anni 40”

    Il dopoguerra rivede il compositore intensamente impegnato a riallacciare rapporti sul fronte internazionale, in particolare in funzione dell’affermazione del metodo di composizione dodecafonico. Nel 1948 egli si fece promotore di una conferenza tenuta ad Orselina come sessione preparatoria del Primo Congresso Internazionale per la Musica Dodecafonica da lui organizzato a Milano nel 1949 insieme con Riccardo Malipiero. Inoltre, sebbene Vogel seguisse un modello personale di dodecafonia distinto da quello schönberghiano (per l’impiego di intervalli cantabili nelle parti vocali e per l’equilibrio risolto in favore dei rapporti consonanti nella costruzione della serie), occorre riconoscergli un ruolo primario nella diffusione della dodecafonia in Svizzera attraverso gli allievi che lo frequentarono (Rolf Liebermann, Jacques Wildberger, Robert Suter).
    La residenza ad Ascona fin dalla fine della guerra, con l’ottenimento della cittadinanza svizzera nel 1954, segnò anche l’incremento di un suo impegno in campo nazionale, benché non gli venissero mai meno i riconoscimenti conferitigli all’estero, come membro dell’Accademia Filarmonica Romana, dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e come membro ordinario dell’Akademie der Künste di Berlino. Determinante fu ad esempio il suo ruolo nella creazione del Kammersprechchor sorto a Zurigo nel 1951 per iniziativa di Ellen Widmann, complesso unico nel suo genere la cui attività rimane fondamentalmente legata alle opere che il musicista gli dedicò, in particolare l’Arpiade (1954) su testo di Hans Arp, cantata dai risvolti burleschi di umorismo surrealistico.

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    “Conferenza preparatoria del Primo Congresso internazionale della musica dodecafonica, tenuta a Orselina nel dicembre 1948. Da sinistra a destra sono riconoscibili H.J Koellreutter, Erich Schmid, Karl Amadeus Hartmann, Alfred Keller, Hermann Meier (alle sue spalle), Wladimir Vogel, Riccardo Malipiero, Luigi Dallapiccola, André Souris, Rolf Liebermann, Serge Nigg (di schiena)”

    L’integrazione nell’ambiente culturale svizzero, attraverso i contatti con pittori, architetti, scrittori secondo interessi sempre vivi nella coscienza del musicista, venne sicuramente incrementata con il trasferimento a Zurigo nel 1964, equivalente alla scelta di agire in un luogo che fosse centro di attività e di iniziative frequenti e originali subentrata in tarda età come volontà di non deflettere dal senso di un compito da portare avanti nel continuo rinnovamento, senza adagiarsi sui traguardi raggiunti.
    Alla città di Zurigo è appunto dedicata la cantata Gli Spaziali (1970-71), ulteriore tentativo di definizione del rapporto musica e testo attraverso l’impiego differenziato di parola cantata-parola parlata nella messa a punto di grandi forme concepite da Vogel come appropriata moderna risposta all’inattualità della forma operistica, cioè nel solco estetico del cosiddetto «dramma-oratorio» precedentemente battuto, oltre che nei noti capolavori della gioventù, in Jona ging doch nach Ninive (1958), nella Meditazione su una maschera di Modigliani, composta su poema di Felice Filippini per l’inaugurazione del nuovo studio della Radio della Svizzera Italiana il 31 marzo 1962, e in Flucht (1964).
    Le sue ultime composizioni sono perfetti esemplari della creatività di un artista giunto all’estremo grado di maturità, per capacità di sintesi, senso dell’economia dei mezzi che gli ha fatto privilegiare le formazioni cameristiche e soprattutto la dimensione di equilibrio e distacco tipica di un grande vecchio cosciente di come la propria parabola dovesse trarre conseguenza da ogni tappa percorsa, nella necessità di uno svolgimento logico che tenesse conto di ciò che è trascorso e di ciò che ancora attende di essere testimoniato.
    In questo senso l’opera di Wladimir Vogel costituisce una summa in grado di rendere ragione in ogni fase del suo vitale rapporto con l’epoca. Wladimir Vogel morì a Zurigo il 19 giugno 1984.

    Foto di copertina: “Wladimir Vogel con Felice Filippini in occasione della prima esecuzione alla RSI della Meditazione sulla maschera di Amedeo di Modigliani"(31 marzo 1962)