• NUTRIRSI CLUB
  • 3 Dicembre 2014

    Brasile

    Ti lascio, domani, sarà notte, non ci sarai più.

    Una sottile nostalgia si distende già - nelle mie viscere - delle viscere esposte nei mercati più bassi,


    delle ladeiras, le colline che non arrivano mai in cielo,
    dei morros, le favelas in cui sono entrato,
    di cui ho visto appena le luci.

    Brasile, una parola che è subito continente,
    e "viaggio" null'altro che un'esperienza piccola,
    una formica che muore in un mese
    nelle acque del ricordo che diventano oceano.

    Ho visto, da viaggiatore che voleva dissolto il suo benessere,
    uomini che dormivano sulle proprie scarpe, impasse dell'andare,
    e poi uomini senzabito che si abbracciavano nelle chiese,
    gioiosi viandanti di vie celesti indicate da santi africani,
    come loro migranti della vita.
    Religiose sono le loro mute o passionali preghiere.

    Ho visto un intero Paese che muoveva e danzava ogni suo arto,
    animando un transito ultra-disumano che paralizzerebbe ogni ipotesi di passaggio di tempo,
    figuriamoci di rapidità.
    Rapida è la febbre e la tattica delle gambe
    delle migliaia di giocatori di calcio delle spiagge di Rio.
    Rapidi sono gli sguardi disperati-assassini dei drogati di crack.

    Mi sospendono qui i sorrisi silenziosi delle ragazze delle locande, dei botecos, dei crocicchi,
    sguardi soffusi dietro quel velo diretti proprio al mio cuore:
    "olhar" è una parola dolce, che esprime il languore del guardare, dell'essere guardati,
    qui dove c'è sempre incontro.

    Il Brasile realizza la contaminazione postmoderna
    nel reale delle ruas, nella trasfusione delle origini rivelata da meravigliose carnagioni,
    nel lusso gelato rapinato dal crimine incolpevole della strada.

    Terra del futuro senza parere,
    che io possa portare via con me il tuo eterno presente.

    Olinda (Recife), 24 agosto 2013