Il miele nel mondo antico
Il miele, prodotto alimentare delle api domestiche (Apis mellifera), sin dai tempi preistorici costituì la sostanza edulcorante più utilizzata e figura, al pari del sale, dell’olio e del vino, tra i principali prodotti alimentari del mondo antico.
Per gli antichi, il miele era cibo e, allo stesso tempo, sostanza importante nella medicina, nella cosmesi e nelle attività artigianali. Anche la cera ricavata dai favi era una sostanza molto utilizzata per l’imbalsamazione, l’illuminazione, la sigillatura, la pittura, la tessitura, la bronzistica, la medicina.
Secondo gli Egizi, l’ape era nata dalle lacrime di Ra cadute sulla terra; nel Medio Oriente si credeva che il miele fosse caduto dal cielo come la manna del deserto: nella letteratura biblica la parola debash designa in genere una sostanza zuccherina, a volte identificata col miele, altre volte con la manna.
Secondo Aristotele (HA 5, 22, 553b) “… il miele è una sostanza che cade dall’aria, specialmente al sorgere delle stelle e quando si incurva l’arcobaleno…”.
“Proseguendo, esaminerò il dono celeste dell’aereo miele” scriveva Virgilio (Virgilio, Georgica 4, 1-2).
Abou-Ghourab, Tempio solare del re Ne-user-re (2400 a.C.). Scena apistica in cui sono raffigurate le operazioni di estrazione, raccolta e immagazzinamento del miele (sa Kuény, 1950).
Il miele, considerato un alimento eccellente e ricercato, veniva utilizzato in ambito alimentare e culinario come dolcificante, come condimento e come conservante.
Apicio in De re coquinaria ritiene il miele indispensabile, specialmente per i piatti in agrodolce; spesso lo si usava in cucina per correggere un sapore eccessivamente salato.
Salse
Utilizzato nella realizzazione di numerosi piatti di pesce e di legumi, il miele costituiva uno degli ingredienti anche nelle salse usate per la preparazione di piatti di selvaggina, come quella a base di cumino (cuminatum), di silfio (laseratum) e, ancora, per un condimento a base di salsa di pesce e di vino (oenogarum); col miele si otteneva anche un altro tipo di condimento acre, simile all’aceto, e un brodo, definiti, rispettivamente, oxymeli. L’oxymeli era una salsa preparata con dieci libbre di miele (3,274 kg), cinque emine di aceto (1,35 litri), una libbra di sale marino e cinque sestieri di acqua piovana (2,735 litri); lo si filtrava e lo si lasciava invecchiare. Era impiegato sia come condimento, sia come bevanda.
Per preparare il Cuminatum, una salsa al cumino per ostriche e molluschi da conchiglia si mescolavano insieme: pepe, ligustico, prezzemolo, menta essiccata, foglie di malabatro, cumino, aceto, garum e miele.
Per preparare il Laseratum: pepe, carvi, aneto, prezzemolo, menta essiccata, silfio, foglie di malabatro, nardo indiano, miele, aceto, garum.
L’Enogarum per i tartufi era preparato con pepe, ligustico, coriandolo, ruta, garum, miele, olio, timo, santoreggia, pepe, ligustico.
Per preparare l’Oxyporium occorrevano due once di cumino d’Etiopia, di Siria o di Libia, un’oncia di zenzero, un’oncia di ruta fresca, sei scrupoli di carbonato di sodio, 12 scrupoli di grossi datteri, un’oncia di pepe, dodici once di miele. Al miscuglio si aggiungeva dell’aceto e lo si lasciava essiccare per poi triturarlo: ciò fatto si “legava” con del miele. All’occorrenza, lo si poteva stemperare con oxygarum.
Tebe, Tomba di Rechmira (ca. 1450 a.C.). Scena apistica con la raffigurazione delle principali fasi di lavorazione. Si noti l'impiego della fumigazione per estrarre i favi dalle arnie (da Kiény, 1950)
L’Hypotrimma era ottenuta con pepe, ligustico, menta secca, pinoli, uva passa, datteri carioti, formaggio senza sale, miele, aceto, garum, olio, vino, defritum o caroenum.
Per l’Oxygarum digestibilem si mettevano insieme mezza oncia di pepe, tre scrupoli di seseli gallico, sei scrupoli di cardamomo, sei scrupoli di cumino, sei scrupoli di malabatro, sei scrupoli di menta secca: veniva tritato, setacciato e il tutto legato con miele. Vi si poteva aggiungere garum e aceto.
Confetture
Il miele era usato anche nelle confetture di vari frutti, specie di mele cotogne, il cui miele d’avanzo era recuperato per ottenere uno sciroppo (melomeli) particolarmente ricercato per il profumo.
Il miele era usato anche nelle confetture di vari frutti, specie di mele cotogne, il cui miele d’avanzo era recuperato per ottenere uno sciroppo (melomeli) particolarmente ricercato per il profumo.
Dolce
I dolci al miele erano suddivisi in generale in due categorie, quelli in cui il miele si mescolava direttamente alla farina e quelli in cui il miele era presentato accanto al dolce come finitura.
Nella dolciaria, il miele era l’ingrediente principale, non solo perché di natura zuccherina, ma poiché consentiva, grazie alla sua morbida consistenza, di plasmare meglio gli impasti, in particolare quelli delle focacce (pemmata, metlittountai, crustulae, liba, placentae mellitae).
Attica. Manufatti fittili (IX-VIII sec. a.C.) interpretati come modelli di arnie (da Chierici, 1991)
Conservazione sotto miele
L’impiego del miele per conservare i cibi non è citato da autori greci; da Roma ci è pervenuta l’attestazione dell’uso del miele nella conservazione dei frutti interi a partire dal I secolo d.C.. Mele, mele cotogne, pere, prugne, fichi, ciliege o verdure venivano immerse in recipienti con miele di prima qualità, puro o misto ad acqua. Una tecnica di conservazione, valida nella stagione invernale, consisteva nello spalmare di miele la carne cruda o cotta, come si usava fare con la frutta.
Idromele - Aqua mulsa
Il miele era usato per ottenere bevande zuccherate sia di natura alcolica che analcolica.
L’Idromele (Aqua mulsa, udromeli) un liquore di colore dorato, molto simile ai vini bianchi, era preparato con il miele e l’acqua. Si miscelavano una parte di miele e due parti di acqua piovana conservata per cinque anni. Si otteneva dapprima l’aqua mulsa subita, di sapore dolce, che si poteva consumare direttamente; dopo fermentazione, filtraggio e invecchiamento, si aveva l’aqua mulsa inveterata, dal gusto simile a vino: la fermentazione non poteva aver luogo se la concentrazione zuccherina oltrepassava il 14-15%.
Il consumo dell’idromele era molto diffuso, specialmente tra i popoli barbari; secondo Plinio, il migliore idromele si produceva in Frigia.
Mulsum
Il miele era consumato anche misto a vino. Il vino mielato, detto mulsum si preparava soprattutto con vini pregiati e stagionati come il Falerno ed il Massico e con il miglior miele dell’Attica. Esistevano diverse ricette utilizzate per la preparazione. Secondo Colum servivano dieci libbre di miele (3,27 kg) per un’urna (13 litri) di vino.
Palladio riporta una ricetta: una parte di miele per quattro di mosto fermentato per venti giorni dopo la spremitura. Questa bevanda si gustava durante i pasti e, soprattutto, con gli antipasti, durante la gustatio, detta anche promulsis. Gli anziani amavano molto inzuppare del pane nel vino mielato: a questa abitudine Romilius Pollio attribuiva la sua vigoria.
Ionia. Ephesos (390-325 a.C.). AR Tetradrachmi.
Dove
La produzione di miele, insieme a quella della cera, ebbe un importante ruolo nell’economia del mondo antico. Si praticava nella quasi totalità del bacino mediterraneo. Grazie a fonti letterarie, epigrafiche e ad evidenze archeologiche, conosciamo bene i paesi maggiori produttori dell’antichità.
Primo tra tutti l’Egitto, dove l’apicultura si praticava dal 2400 a.C.. Una pittura muraria databile al 2400 a.C. decora una stanza del tempio solare del re Ne-user-re ad Abou-Ghorab, vicino il Cairo e raffigura le operazioni di estrazione, raccolta e conservazione del miele. Un’altra scena che decora la tomba di Rekhmira ad Thebe, databile ca. 1450 a.C., raffigura le principali fasi di lavorazione: si può notare l’impiego della fumigazione per estrarre i favi delle arnie.
In età ellenistica, l’apicoltura va sempre più organizzandosi. All’epoca dei Tolomei, esistevano molti proprietari che possedevano numerose arnie. La maggior produzione di miele si ebbe nella città di Filadelfia e nella regione del Fayyum in Egitto.
Nel mondo greco, i migliori mieli venivano dall’Attica. Quello prodotto dal timo sul Monte Imetto, in Attica, era il più rinomato del mondo antico. Numerose arnie in terracotta trovate nella zona dell’Imetto e un papiro dell’archivio di Zenone che cita quello d’Attico tra i mieli importati in Egitto mostra l’importanza della produzione del miele per l’Attica, molto ricercato anche in Italia.
Ionia. Ephesos. Drachmi (202-133 a.C.)
La Caria, regione a sud-ovest dell’Asia Minore, era rinomata per i suoi mieli quanto per i suoi vini; dalla Caria si esportava sia in Egitto sia in altri paesi del Mediterraneo un’eccellente qualità di miele.
Scritti di Zenone menzionano il miele di Rodi e quello di Theangela in Caria. Il miele di Cos è definito di buona qualità da Geopanica.
L’importanza della produzione è confermata anche da un’attestazione epigrafica rinvenuta a Theangela: riporta che il dinasta di Caria, Eupolemo, stipulò con la città di Theangela un accordo secondo il quale gli abitanti dovevano pagare una tassa sulle arnie. Un altro decreto sempre di Theangela, in età ellenistica, ordinava di offrire a un prosseno due piccole anfore di miele.
Il miele, pertanto, era un’importante risorsa sia per Theangela sia per le altre città della Caria.
Il miele di timo di Ibla in Sicilia era il più famoso del Mediterraneo occidentale e sin dall’età repubblicana fu importato regolarmente in Italia. Marziale dedica un suo epigramma ai mieli di Sicilia; Plinio lo cita tra i mieli eccellenti come quello di Imola e quellodell’isola Calidna. Il miele Ibleo fu osannato da molti autori dall’età classica e fino alla fine del Medioevo.
Nella penisola italica, soprattutto nella regione meridionale, l’apicultura era diffusa e considerata un’attività importante.
Il miele di Calabria, quelli di Brindisi e Taranto erano ben conosciuti e apprezzati. Quanto all’Italia centrale, si produceva miele in abbondanza a Falerii e a Sulmona, in Abruzzo, ove abitavano i Peligni. Anche i liguri producevano miele e lo scambiavano con olio e vino dell’Italia centrale.
Montecassino, rotolo Exultet con scena apistica in cui sono raffigurate l’estrazione dei favi e l’inarniamento.
Fine XI sec.
Note bibliografiche
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