Ochazuke, la zuppa che ci riconcilia con i nostri eccessi
Il desiderio dell’uomo di avere a disposizione cibi provenienti da terre lontane risale a tempi antichi. Mentre una volta questo era un privilegio riservato a pochi ricchi, oggi la globalizzazione ha operato profondi cambiamenti anche nelle abitudini alimentari, grazie alla maggiore frequenza degli spostamenti, alla diffusione dei ristoranti etnici e alla disponibilità di ingredienti prima introvabili nei supermercati.
Questo avvicinamento a culture anche molto lontane dalla nostra è sicuramente una risorsa, offrendo l’opportunità di maggiore comprensione tra popoli, che anche con la cucina esprimono i loro valori.
Se ci si predispone con una mente aperta alla conoscenza di nuove culture, molto spesso questo tipo di comunicazione è di più facile comprensione rispetto alle lingue, che più volte sono state paragonate ai modelli alimentari. Entrambi infatti sono strutturati in maniera caratteristica: i cibi, la loro preparazione, le decorazioni e l’allestimento sulla tavola assumono un preciso significato, come le parole nel linguaggio.
Bisogna però stare attenti alla qualità delle offerte, che proprio perché si moltiplicano possono essere superficiali e ingannevoli.
I ristoranti che troviamo nelle nostre città a volte si adeguano ai gusti locali e presentano solo alcuni piatti più facilmente accettati, come nel caso della cucina giapponese, di cui conosciamo per lo più sushi, sashimi, tempura e qualche tipo di zuppa.
Arrivati in Italia negli anni ‘80, i ristoranti giapponesi erano inizialmente gestiti da giapponesi e rivolti a loro connazionali, ma in seguito anche gli italiani hanno cominciato a frequentarli, soprattutto dopo la comparsa della formula “all you can eat”, dove il cibo è preparato e servito da personale di tutte le nazionalità e l’offerta a basso costo si allarga anche alla cucina cinese e locale.
Al supermercato ora possiamo trovare confezioni di sushi, minestre in busta istantanee, oltre a tubetti di wasabi, salsa di soia, alghe nori che ci permettono di cimentarci in preparazioni casalinghe.
In Giappone il cibo ha per tradizione un valore curativo e decisivo nel mantenimento della salute, non a caso il suo modello alimentare ha permesso alla popolazione di essere la più longeva del mondo.
Proprio per questo qui è nato il concetto di “alimento funzionale”, cioè alimento che contiene naturalmente o per aggiunta qualche sostanza con effetti benefici sull’organismo. L’importanza del cibo si capisce anche perdendosi nelle strade delle grandi città giapponesi, ma anche nei paesi più piccoli, dove si incontrano tante occasioni di mangiare a tutte le ore, spendendo anche piccole cifre, soprattutto avvicinandosi alle molte offerte del cibo di strada, spesso più autentico di quello dei ristoranti che attraggono i turisti.
Molti di questi, infatti, sotto forma di fast food, in cui il cibo arriva continuamente da un nastro trasportatore, offrono anche versioni di sushi “californiane” in cui si possono trovare ingredienti estranei alla tradizione locale, come maionese, avocado e formaggi.
Parliamo quindi in generale di un popolo virtuoso a tavola, ma anche amante della compagnia e dei festeggiamenti, che in qualche occasione perciò si lascia andare ad esagerare un po'.
Grazie ad un amico giapponese che mi ha fatto da guida nell’ultimo viaggio, ho scoperto un piatto che non avrei mai provato da sola, parte della cucina casalinga, ma reperibile anche nei ristoranti, utilizzato a fine pasto per riequilibrare l’organismo dopo gli eccessi con cibo e alcol, un vero toccasana che riunisce gli ingredienti più comuni della cucina giapponese: l’ochazuke.
Si tratta di una zuppa in cui il riso al vapore è bagnato con tè verde (ottimo il genmaicha, un bancha arricchito da riso tostato, con un gusto molto particolare). Questa bevanda è stata studiata moltissimo per le sue proprietà antitumorali, antiossidanti ma anche digestive, dovute al contenuto in tannini che aiutano a calmare la mucosa dello stomaco infiammata.
Per quanto riguarda il riso, oltre alle proprietà benefiche dovute alla presenza di glucani e polifenoli nella sua forma integrale, recentemente hanno richiamato l’attenzione dei ricercatori anche alcuni peptidi capaci di prevenire lo stress ossidativo.
A questi ingredienti base se ne aggiungono altri, variando secondo il gusto e la disponibilità: salmone affumicato, pesce crudo, verdure come porri e carote, gamberi, crackers di riso sbriciolati.
La versione che preferisco è con la prugna umeboshi (Prunus mume), che con il suo cerchio rosso spicca al centro del riso bianco con un effetto scenografico che ricorda la bandiera giapponese.
Le umeboshi, in realtà più simili ad un’albicocca che a una prugna, sono originarie della Cina, dove fanno parte da 3000 anni della medicina tradizionale. Sono raccolte ancora verdi, quando il contenuto di acido citrico è massimo, e proprio il gusto estremamente acido stimola la salivazione e la motilità gastrointestinale, facilitando la digestione e combattendo la stipsi.
Essiccate al sole, sono messe sotto sale e successivamente in contenitori con foglie di shiso o basilico cinese, che le colora di rosso acceso.
Utilizzate nella macrobiotica, furono adottate da samurai e lottatori di sumo come simbolo di forza e contro stanchezza ed eccessi alimentari. Utili per contrastare il carico acido di alcuni alimenti, come quello dovuto alle proteine di origine animale, facilitare l’assorbimento intestinale di ferro, calcio e magnesio, avrebbero anche effetti antimicrobici.
La zuppa è arricchita con alghe, anch’esse ricche di sostanze disintossicanti come l’acido alginico, che svolge un’azione chelante nei confronti di metalli pesanti e sostanze tossiche presenti nell’organismo, oltre a minerali e vitamine del gruppo B.
Un altro ingrediente inaspettato è poi il crisantemo, sia le foglie che i fiori.
L’utilizzo in cucina di fiori è attualmente rivalutato anche da noi, soprattutto per aumentare il valore estetico dei piatti, ma non dimentichiamo che questi elementi vegetali hanno anche proprietà benefiche conosciute fin dall’antichità e confermate dagli studi recenti, che ne hanno dosato il contenuto in sostanze antiossidanti come acidi fenolici, flavonoidi (tra cui le antocianine, pigmenti che conferiscono il colore ai fiori) e acidi organici. In particolare il crisantemo contiene apigenina, luteolina e quercetina, flavonoidi con riconosciuti effetti contrastanti la cancerogenesi, il diabete, l’infiammazione.
Infine si stempera il wasabi con un po' di salsa di soia e si aggiunge al resto. Questa pasta verde derivata dalla Wasabia japonica, un’erba della famiglia delle brassicaceae, cresce spontaneamente lungo i corsi d’acqua in alta quota. La quantità di wasabi spontaneo non soddisfa però il mercato e viene quindi coltivato, con la possibilità per i prodotti più a buon mercato di adulterazioni, in cui è sostituito con rafano colorato di verde.
Il suo sapore forte e intenso accompagna sushi e sashimi, dove svolge principalmente un ruolo antimicrobico, ma gli studi effettuati hanno rilevato anche effetti antitumorali grazie al contenuto in isotiocianati.
Tutti questi composti chimici ampiamente studiati possono concorrere a farci stare meglio dopo gli eccessi alimentari, ma probabilmente quello che offre conforto quando utilizziamo rimedi casalinghi è anche l’aspetto emotivo e nostalgico che lega alcuni cibi al ricordo delle cure ricevute fin da piccoli, come succede anche da noi.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
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