Francesco Borromini a Roma - Sant'Ivo alla Sapienza
Quando Francesco Castelli, detto Borromini, arriva a Roma nel 1619 ha appena vent’anni. Era nato a Bissone, un piccolo villaggio di pescatori sul lago di Lugano, di fronte a Melide.
Le famiglie dei genitori - Giovanni Domenico Castelli e Anastasia Garvo - che da sempre avevano praticato l’architettura e la scultura, erano sicuramente benestanti come risulta dalla documentazione dei loro beni. Francesco, che diventerà solo più tardi “Borromini” (soprannome probabilmente derivato da un’antica località al confine di Bissone con Arogno dove i Castelli avevano alcune proprietà), nel 1608 abbandona, per volontà del padre, il borgo nativo e va a Milano, dove inizia il suo apprendistato. Qui trova un gran fervore artistico e spirituale, grazie anche alle figure di Carlo e Federico Borromeo. Il giovane assorbe la dotta cultura della città che, unita alla sua maestria artigiana, darà vita a un talento e a un sapere scientifico del tutto unici.
All’inizio del 1619 parte per Roma, dove è ospitato da un cugino per parte materna, Leone Garvo, all’epoca capomastro scalpellino di Carlo Maderno, attivo nell’importante fabbrica di San Pietro. È proprio nel cantiere vaticano che Leone muore accidentalmente e così Francesco, che abitava presso di lui, vicino a San Giovanni dei Fiorentini - dove poi verrà sepolto-, ne rileva le proprietà e la bottega. Con altri due soci d’origine lombarda, dà vita a una società che inizia l’attività proprio a San Pietro, così che da ‘mastro’ diventa ‘capomastro’. Immediatamente si fa notare sulla scena romana, non solo per la passione profusa nel lavoro, ma soprattutto per la pratica del disegno (fu infatti uno dei primi a usare la matita come segno grafico), come fu ben chiaro subito al Maderno, parente di Francesco, seppure alla lontana, “per via di donna”. Con lui lavora non solo in Vaticano, ma anche nei nuovi cantieri di papa Urbano VIII Barberini, appena eletto nel 1623. Si tratta della celebre Reggia del sole, cioè Palazzo Barberini alle Quattro Fontane e la Chiesa di Sant’Andrea della Valle, vicina a Piazza Navona.
È proprio nel cantiere di Palazzo Barberini che iniziano i celebri dissapori con l’altro grande protagonista della Roma barocca: Gian Lorenzo Bernini. Alla morte dello zio infatti (1629), Francesco - di carattere saturnino e malinconico - era sicuro di subentrargli nella direzione dei lavori, tuttavia il papa gli preferì l’astuto e disinvolto (ma anche geniale) Bernini. I due artisti saranno comunque chiamati a lavorare insieme al baldacchino della basilica vaticana (1631-33), luogo dove i loro caratteri arriveranno a un primo scontro. Fiero, di grande sensibilità morale e intransigente nella sua professione Borromini, affabile, elegante e pieno di charme (soprattutto con le donne!) Bernini.
Seguendo le orme di Francesco Borromini nella Roma del tempo, e di oggi, iniziamo una ricerca delle sue opere, piena di sorprese e meraviglie. Piccoli ricordi di un grande architetto, morto il 3 agosto del 1667, in modo tragico - tenta di uccidersi gettandosi su una spada incastrata nel pavimento - che ancora oggi continua ad affascinare e stupire.
Sant’Ivo alla Sapienza
Lungo l’attuale Corso Rinascimento, nel rione di Sant’Eustachio, dalla fine del Quattrocento viene iniziata la costruzione dell’edificio dell’Archiginnasio - poi Università detta della Sapienza - in sostituzione della prima sede, l’antico Studium Urbis in Trastevere, fondato nel 1303 da Bonifacio VIII. Diversi pontefici si interessarono all’Università e nel 1632, su consiglio di Gian Lorenzo Bernini - che comunque apprezzava notevolmente le qualità del collega - Urbano VIII Barberini nomina Francesco Borromini architetto del cantiere. Il palazzo, già costruito da Pirro Ligorio e Giacomo della Porta, venne completato con le due fiancate e l’attico arretrato del cortile; tuttavia la maggior preoccupazione di Borromini riguardava la costruzione della chiesa, dedicata a Sant’Ivo protettore degli avvocati concistoriali, realizzata a chiusura del cortile cinquecentesco.
È questa uno dei suoi capolavori: pur essendo iniziata nel 1653, viene completata solo nel 1660. L’architetto, obbligato da vincoli precedenti, lavora in uno spazio esiguo, progettando una pianta di originalità assoluta. Si tratta di un disegno a stella esagonale - ottenuta dalla compenetrazione di due triangoli equilateri - che si riallaccia alle precedenti ricerche del ticinese sulla tipologia a pianta centrale che, tuttavia, non ha eguali nelle costruzioni classiche e rinascimentali.
Tre absidi concave si alternano ad altrettanti vani mistilinei, utilizzabili come passaggi laterali per gli ambienti dell’Università. La facciata, dall’alto tamburo esalobato con finestroni e rilievi a stucco (l’agnello sul libro dai sette sigilli, la colomba dello Spirito Santo, corone e palme), è impostata sull’esedra del precedente cortile di cui prosegue il doppio ordine di arcate. Sull’attico, scandito da lesene e decorato con ovati contenenti la stella dei Chigi, in ricordo della data della consacrazione (1660) sotto papa Alessandro VII, è la celebre lanterna culminante a spirale, quasi una conchiglia avvitata al cielo.
Come l’esterno, anche l’interno è completamente bianco, secondo la volontà dell’artista, cui spettano anche i disegni delle numerose decorazioni in stucco. Meravigliosa è la cupola, che segue il perimetro interno e la cui divisione in otto spicchi richiama quella del pavimento, costituito da lastre trapezoidali in marmo bianco e grigio unite a formare esagoni. Proprio per l’originalità della pianta e per la scelta dei motivi decorativi (ghirlande, rami di palma, cherubini, stelle, rami di quercia ecc.) presenti negli spicchi della cupola, la chiesa di Sant’Ivo è stata oggetto di numerose interpretazioni; il tema di fondo, cui rimanda anche la scelta della tinta bianca, è però l’esaltazione della Divina Sapienza e dei pontefici che promossero la costruzione del tempio.
L’altare ospita una grande pala, commissionata nel 1660 a Pietro da Cortona, che però, alla data della sua morte nel ’69, non era ancora stata ultimata. Il completamento del dipinto spetta a un suo allievo Giovanni Ventura Borghesi che realizzò la zona inferiore, in cui compare il santo bretone Ivo, che dà l’elemosina ai poveri. In alto è invece del Cortona la scenografica gloria di Cristo che appare sulle nubi ai santi che hanno strette relazioni con l’università: Luca (patrono dell’Archiginnasio), Pantaleone (patrono dei medici), Leone Magno (patrono dei teologi) e Alessandro (in ricordo delle reliquie donate da Alessandro VII Chigi).
Crediti: le foto della Gallery sono di Vincenzino Siani
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