Il vagabondo delle stelle di Jack London
Anche se spesso Jack London è più ricordato per la narrativa d’avventura destinata ai ragazzi, nella sua produzione c’è un caposaldo della letteratura americana.
Un libro che una volta letto, si deposita nel nostro inconscio in attesa di riaffiorare durante un sogno o un incubo: Il vagabondo delle stelle.
In apparenza è la storia di un uomo che vive in permanente immobilità, nella cella d’isolamento del carcere di San Quentin, ma è in tutto e per tutto un libro d’avventura. In che modo vi chiederete. Non c’è nessun conte di Montecristo che evade in fondo. Davanti a noi troviamo soltanto un uomo in camicia di forza, chiuso in solitudine. Ma i viaggi del nostro prigioniero, Darrell Standing, iniziano nel momento in cui l’uomo riesce a scassinare la cella della sua mente.
Grazie all’evasione, alla tecnica che il detenuto chiama “la piccola morte”, Darrell è in grado di fuggire e di vagabondare nelle sue vite precedenti, pur di non impazzire di fronte alle ossessioni che il silenzio, l’acedia e un carattere indebolito dalla prigionia possono provocare.
Il protagonista è un professore di agronomia dell’università della California che viene condannato inizialmente all’ergastolo per l’omicidio del professor Haskel, poi all’impiccagione, a causa di una presunta cassa di dinamite nascosta nel carcere.
“Mi condurranno verso quello che credono sia l’oscurità, la tanto temuta oscurità che procura loro terrificanti fantasie superstiziose. L’oscurità che li guida all’altare delle loro antropomorfe divinità create dalla paura mentre blaterano idiozie.”
Pur di spingere Darrell ad una confessione riguardo la dinamite, della quale esistenza egli non ha mai saputo nulla, il direttore del carcere lo sottopone ad anni di barbare torture. Eppure, per fortuna, il prigioniero riesce a fare amicizia con due detenuti, Ed Morell e Jake Openheimer. La loro unica ancora di salvezza per comunicare e non impazzire è quella di battere le nocche delle dita sul muro inventando un nuovo codice. In questo modo può ancora ricordare cosa significa sentirsi un essere umano.
“Li prelevarono tutti, uno dopo l’altro, che erano uomini; ma quando tornarono erano tutti e indistintamente farneticanti relitti che ululavano al buio.”
Questo erano diventati. Carcasse in attesa di uno stimolo primario; cibo, acqua e sonno per poi aspettare di nuovo un inizio identico al precedente. Uomini privati anche del disperato tentativo di almanaccare piani di fuga. Un’altalena lenta e feroce. I secondini questo lo sapevano e non provavano pietà nelle botte e negli insulti. Anzi, spesso un’arcaica crudeltà li incalzava a violenze appaganti.
Ma se il corpo non può ribellarsi, c’è qualcosa che va oltre le catene, un flebile spirito che crea con forza mondi alternativi. Per questo l’unica soluzione per alcuni fortunati detenuti, diventa il viaggio nelle vite passate.
“È tutta la vita che sono cosciente dell’esistenza di epoche e di luoghi diversi. Ho sempre avuto la consapevolezza che in me esistono altre persone.”
Ed è così che ripercorriamo con Darrell l’intera sua esistenza nei panni di un gentiluomo francese, di un bambino figlio di un pionere in America, di un sacerdote del Nilo, di uno schiavo e amico di Pilato, e infine di un naufrago su un’isola deserta. Le sue reincarnazioni sono frutto delle influenze nietzschiane, basate sul tema dell’eterno ritorno. Grazie a questa circolarità del tempo, infatti, il detenuto non ha paura della morte, perché la sua curiosità per la prossima vita lo aiuta a superare anche il dolore, cui è destinato.
“Da lì vagavo per mezz’ora, dieci minuti o anche un’ora, errando follemente dentro i ricordi ben custoditi dal mio eterno ritorno sulla terra.”
Durante l’ipnosi automatica questo ritorno profetico, è un’immagine del tempo che ci spaventa e che ci attrae. Ci guida ad immaginare una realtà in cui il corso della nostra vita non si presenta unico e finito, ma si abbandona il passato per diventare o vivere qualcosa di nuovo. Un’idea forse troppo estesa per la mente, cunicolo di percezioni e paure.
E il ricordare, accovacciati tra le quattro pareti dell’io, diventa una salita faticosa, che può portare alla follia o alla redenzione.