Un "Flauto magico" a Tokyo
Sono una regista di teatro d’opera e lavoro a Tokyo. Per molti anni sono stata assistente in numerose produzioni operistiche nella mia città e, inoltre, ho lavorato con numerosi e rinomati registi europei di teatro lirico.
Nel 2014 ho passato quattro mesi al Royal Opera House di Londra lavorando come assistente per accrescere le mie esperienze. Tornata dalla Gran Bretagna ho iniziato a fare il mio lavoro in proprio, cosa di cui vorrei parlare in questo articolo.
Poiché sono ancora all’inizio della mia carriera, tutte le produzioni che abitualmente curo non sono grandi e hanno un badget limitato, il che significa che devo accendere la mia creatività per realizzare la mia visione e i miei intenti per ciascun lavoro che mi è affidato.
In settembre 2015 ho messo in scena “Il Flauto magico” di Mozart in una piccola sala da concerto provvista di 300 posti a sedere.
Dal momento che quest’opera è molto popolare, mi sono chiesta se era possibile introdurre qualcosa di nuovo rispetto alle rappresentazioni tradizionali: ero abbastanza stufa dei soliti Papageno e Papagena con i loro costumi di false piume.
Ho riletto attentamente il testo e ho deciso che la storia avrebbe riguardato due giovani (Tamino e Pamina) nella Tokyo di oggi (o in un posto simile) alla ricerca di nuovi, personali, profondi valori da raggiungere con le proprie forze, senza l’aiuto di alcuna entità estranea.
La Regina della Notte (proprietaria di un comodo club d’intrattenimento) e Sarastro (un autoritario CEO) cercano entrambi di attirarli nei loro mondi che ricalcano i loro rispettivi modi di guardare alla vita e alle persone; ma, alla fine, Tamino e Pamina riescono a superare le rispettive prove iniziatiche e a individuare i loro propri valori e il loro futuro.
Nella storia del “Flauto magico” vi sono vari momenti in cui i personaggi vivono situazioni di costrizione e di liberazione. Per rendere scenicamente tali momenti, io e il mio scenografo ci siamo serviti di quei nastri divisori usati nei centri commerciali, nelle banche o in altri luoghi pubblici per limitare gli spazi che saranno occupati da gente in coda in modo da organizzarne la fila e il flusso.
Piazzando sei paia di nastri divisori in modi diversi abbiamo voluto creare spazi differenti per situazioni anch’esse differenti che, in scene diverse, alludessero a cose diverse. I cantanti stessi li spostavano di posizione: l’apertura e la chiusura dei nastri significavano rispettivamente confinamento/restrizione e liberazione. Per l’intera opera abbiamo utilizzato più di venti nastri.
Nell’ultima scena, per la forza di volontà espressa dai protagonisti e per effetto di una magica tempesta, le barriere sono state abbattute, sono crollate a terra e con loro sono svaniti tutti i vincoli, le ansie, i timori e le incertezze che i protagonisti avevano provato per le vicende narrate. Tutti i personaggi, prima amici o nemici, trovavano così, alla fine dell’opera, un nuovo io e un liberatorio, leggero senso di appartenenza a un nuovo mondo; come quando dopo una catastrofe i membri di una comunità cominciano ad aiutarsi l’un l’altro.
Ma proprio alla fine dell’opera, proprio quando tutti i personaggi scompaiono in vortici di ali, c’è un ragazzo, solo uno, che si attarda a salutare ancora un altro ragazzo come lui: è l’inizio della ricerca personale di un nuovo modus vivendi, di nuove idee, di nuovi equilibri finalizzati ancora al raggiungimento di un nuovo ordine. Dopo tutto, buono o cattivo, gli uomini non possono vivere senza un qualche tipo di regole e valori sociali.