• SCIENZE NATURALI E DELL’UOMO, ECOLOGIA
  • 15 Marzo 2018

    Caratteri naturali e progettazione architettonica

      Roberto Di Paola

    Anche in un’epoca in cui la tecnologia sembra ogni giorno trovare nuove vie e soluzioni, assistiamo alla difficoltà di lasciare alle spalle un mondo ed epoche legate indissolubilmente all’uso della natura come modello e matrice.

    I sempre nuovi materiali che ogni giorno vengono proposti ai designer e agli architetti spesso, quando sembrano di più allontanarsene, tornano in qualche modo a “copiare” la natura, non di rado con ritorni all’origine di cui anche il mercato, in misura inversamente proporzionale alla qualità dell’utenza, sembra non poter fare a meno.

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    Ciò non vale certamente solo per la similpelle dei divani o per lo stile etnico di moda che pur denotano un percorso in quella direzione: vale altresì per tutto quello che oggi ci riporta a considerare ciò che è naturale come buono e positivo per noi, al contrario di ciò che invece si oppone alla natura alterandola e danneggiandola in modo tale che, anche se non percepito, risulta poi irreversibilmente irreparabile.

    Il percorso di ritorno verso la natura, ciclico come l’alternanza tra decorazione astratta e naturalistica, verificabile anche nelle concomitanze culturali dei primissimi albori della civiltà umana, ricomincia di continuo e noi assistiamo all’ultima stesura di un soggetto che in realtà va in scena fin dalle origini.

    L’argomento è così noto che non varrà la pena soffermarvisi oltre, se non notando che anche l’acciaio o il carbonio e i compositi delle automobili moderne sembrano dover fare i conti con forme quasi anatomiche disegnate dal vento e prese a prestito dal mondo degli animali.

    Inutile dire anche che il gusto diffuso del ritorno a cibi, atmosfere, indumenti, ambienti e paesaggi “naturali”, per quanto imbevuto di nostalgia, deve fare i conti con la irreversibilità di un mondo che in cento anni ha subìto più cambiamenti che in tutti i millenni precedenti e quindi inevitabilmente con la creazione di copie spesso di scarsa qualità.

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    Se è vero che l’uomo si è dato propri calendari per misurare il tempo e il ripetersi degli eventi, è altresì innegabile che - come dimostrano ipotetici diagrammi virtuali del progresso - un giorno, un mese o un anno non sono mai uguali né certamente misurabili in raffronto al percorso umano.
    Eppure se si osservano gioielli antichi, tessuti, decorazioni di vasi fittili, tappeti e perfino stuoie intrecciate si può osservare che esistono persistenze tali da far sorgere più di una perplessità a chi si avventurasse in simili disamine.

    In architettura poi assistiamo di rimando a processi ancora più complessi da quando, all’inizio del ‘900, l’imperatore Francesco Giuseppe faceva tirare le tendine della carrozza passando davanti ad una “scandalosa” opera di Loos che aveva abbandonato, colpevolmente, ogni decorazione in favore di una autentica, rivoluzionaria, modernissima ascetica sobrietà. Da allora taluni elementi che avevano costituito l’essenza più profonda e strutturante dell’architettura, a cominciare dalla simmetria, perdono decisamente terreno per finire ben presto nei manuali di storia prima e poi in quelli di archeologia.

    A ben pensarci non si può non considerare che proprio la simmetria costituisca uno dei territori di confine tra la “ratio” vitruviana e rinascimentale dell’homo “ad circulum” e “ad quadratum”, inteso come misura di tutte le cose - indissolubilmente ancora legato alla natura - e la natura stessa. Non a caso sul finire del quattrocento gli studi di geometria di Fra’ Giocondo e Luca Pacioli organizzano la visione scientifica prospettica dello spazio tridimensionale, visibile nei dipinti di Piero della Francesca, che porterà all’abbandono definitivo dei fondi d’oro medievali e delle rappresentazioni bidimensionali.

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    Andando a ritroso nel tempo non si può non soffermarsi poi su alcuni aspetti che ancora oggi costituiscono oggetto di profonda ammirazione e riflessione per gli studiosi: certo mirabile è ad esempio la tecnica di realizzazione del tempio greco che rasenta la perfezione della rappresentazione, sia astratta delle geometrie che dei corpi delle sculture racchiuse nei frontoni e degli elementi naturali dei fregi; ancora più impressionante è la sapienza che presiede alla composizione del tutto, ogni elemento è perfettamente bilanciato e proporzionato secondo canoni che noi oggi possiamo solo presumere in larghissima massima e governato all’interno di tutta la fabbrica con correttivi ottici, come l’entasi delle colonne, finalizzati ad una visione prospettica armonica d’insieme.

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    Come è ben noto, il fulcro di questa sapiente opera va ricercato nella proporzione aurea che sembra governare, affiorando vistosamente ovvero aggirandosi in modo latente, più o meno tremila anni di costruzioni architettoniche.

    Il numero d’oro incommensurabile 1,618033, la costruzione del rettangolo dei quadrati successivi e dei rettangoli dinamici di radice di 2, di 3, di 4, di 5 etc. sembra essere l’altro punto di confine tra natura e umana rappresentazione: è facilmente sperimentabile, come hanno provato molti architetti di ogni epoca, che il rettangolo costruito in proporzione aurea risulta il più gradito all’occhio umano che vi si orienta spontaneamente, scegliendolo tra molti differenti.

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    Al riguardo si può richiamare una vastissima letteratura e un’ampia messe di casi che vanno dal naturalissimo Nautilus, la cui conchiglia sembra seguire uno sviluppo in progressione geometrica, al Modulor di Le Corbusier. Ovunque si ritrova il tentativo di creare o di individuare la scala, la misura ed il rapporto proporzionale dell’uomo in uno scenario naturale ed architettonico.

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    Questa preoccupazione riscontrabile ad esempio nel rapporto generalmente di 9:1 di colonne e capitelli, stimato sulla misura delle proporzioni del corpo umano, si ritrova nei trattati rinascimentali e successivi che seguono la scia dell’insegnamento vitruviano: si pensi a Leonardo e a Palladio, tanto per fare qualche nome.

    E’ indiscutibile che la categoria dell’abitare trova origine nella natura: i nostri antenati di decine di migliaia di anni trovavano rifugio direttamente nelle grotte.

    In epoche più recenti le loro abitazioni sommarie erano costituite da tuguri di legno, canne, pelli, fango e quant’altro potesse proteggerli dalle intemperie ovvero da palafitte in semplici raggruppamenti a formare piccoli villaggi talvolta protetti da fossi o mura assai approssimative come quelle dei numerosi Castellieri ancora oggi visibili in più parti anche del nostro paese.

    Furono le prime città che, a quanto pare, non affondano le loro origini oltre gli ultimi dodicimila anni, a segnare il territorio con scelte direzionali di orientamento, tecniche di approvvigionamento idrico e alimentare, politico e sociale di difesa o di occupazione e di collegamento, climatico etc.. Dai più antichi insediamenti mediorientali fino alle città ippodamee, fino ai Romani si sviluppano e prendono forma una teoria di tecniche edificatorie riassorbite e riassumibili nella città romana, figlia dei “Castra” militari, disegnata con lo gnomone secondo una matrice a scacchiera rettangolare orientata verso nord con un cardo e un decumano intersecantisi al centro in prossimità di un Foro, ai quali va ricondotta la fondazione di buona parte delle più antiche città d’Europa.

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    L’orientamento, come dice la parola stessa, indirizzava verso oriente un lato significativo dell’abitato e ciò per motivi connessi con la durata della luce e del soleggiamento, con la ventilazione, che all’epoca doveva assicurare la vivibilità di luoghi assai - per non dire del tutto - trascurati sotto il profilo dell’igiene, oltretutto muniti di cinte difensive che rendevano spesso difficoltoso il ricambio dell’aria provocato dai venti.

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    Gran parte delle notizie di cui disponiamo  ancora oggi risalgono ai dieci libri del “ DE ARCHITECTURA” di Vitruvio, pervenutici in più edizioni soprattutto rinascimentali, che ci informano ampiamente e dettagliatamente sull’arte di costruire presso i romani: dalla scelta delle pietre più indicate per la calce al periodo migliore per il taglio del legname da costruzione, dall’individuazione di tipologie architettoniche ed edilizie al proporzionamento degli edifici, ben poco oggi sapremmo su questi argomenti senza questo testo fondamentale la cui lettura ci fa imbattere per di più in piccole scoperte fatte dall’autore,come le conchiglie fossili nelle rocce di alcune montagne e in una quantità di consigli tecnici che rendono l’opera un vero manuale per gli addetti ai lavori dell’epoca, indispensabile anche per una comprensione storica e perciò consigliabile agli architetti di ogni epoca. 

    Certamente a Vitruvio si rifanno gli architetti e i trattatisti del Rinascimento e i loro successori quando pensano le loro città e architetture ideali, in forme tali che le varie funzioni urbane - dai collegamenti viari alla difesa - si rifanno al modello del corpo umano racchiuso tra il cerchio naturale ed il quadrato razionale.

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    In un mondo assai diverso dal nostro, peregrinarono a lungo Michelozzo e Cosimo il Vecchio, prima di trovare il luogo adatto per la costruzione della dimora del Trebbio al Mugello, come pure sappiamo che Palladio, grande ammiratore di Vitruvio, conduceva studi approfonditi sulla luce e l’orientamento dei luoghi per assicurare la migliore illuminazione interna ed il soleggiamento in ogni stagione dell’anno. La villa “la Rotonda “ può essere presa ad esempio: ogni funzione, dallo studio allo svago, al riposo trova la giusta collocazione in riferimento ai punti cardinali ed alle relative condizioni di illuminazione.

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    Alcune tra le funzioni principali della vita sociale non sfuggono al lento percorso nei secoli di progressivo distacco dalla natura: per secoli, prima di giungere alla prima fusione del ferro e del bronzo, l’uomo ha utilizzato solo prodotti spontanei; da allora il cammino del progresso tecnologico ha marcato i secoli, talvolta inseguendo astratte chimere come la pietra filosofale, più in generale, dalla stampa alla penicillina ma anche dalla balista alla bomba atomica, conseguendo migliori condizioni di vita, anche a scapito altrui.

    Analogamente a ciò l’architettura ha subito progressivi cambiamenti soprattutto nel fornire risposte in termini di qualità della vita a miliardi di persone; risposte un tempo e altrove riservate a poche elite e a qualche dozzina di sovrani e imperatori.

    Nello scorrere le pagine della storia appare evidente a tutta prima che a fronte di inimmaginabili progressi molto si è anche perduto in qualità e capacità artistica e artigianale. In quelli che noi consideriamo millenni remoti e bui la produzione dell’arte spesso ci pone di fronte a ritrovamenti archeologici che lasciano senza fiato per la incredibile bellezza e la conseguente capacità di testimoniare i livelli culturali di vertice di straordinaria raffinatezza di civiltà sepolte e dimenticate dietro secoli e millenni di oblìo.

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    Le sepolture spesso ci rivelano un mondo insospettabile di agiatezza e lusso dove l’arte svolge un ruolo sociale oltre a quello proprio della ricerca di appagamento della sete di bellezza che contraddistingue ogni epoca.

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    Se si osservano i tesori restituiti dagli scavi archeologici in regioni spesso remote, si avrà modo di verificare l’alternarsi nella decorazione di correnti astrattizzanti, più proprie della dimensione artigianale, come è facile comprendere per i continui riferimenti mnemonici ai prodotti dei telai e delle stuoie intrecciate che di per sé conducono verso disegni geometrizzanti e di decorazioni improntate piuttosto alla “imitazione della natura”, da sempre più propria della condizione della ricerca dell’arte.

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    Resta un mistero per noi comprendere talvolta come sia stato possibile pervenire ai livelli artistici di una Atene del V° secolo o della Firenze del ‘400, di Fidia piuttosto che di Leonardo o Michelangelo, Raffaello o Caravaggio, ma non ci lasciano meno stupiti i capolavori dell’arte orafa dei Traci appartenenti al tesoro di Valcitran nell’attuale Bulgaria come il recipiente tripartito in oro niellato ed elektron, o il servizio da tavola d’argento del IV° secolo di Pieria ovvero gli ori del Museo Archeologico di Taranto ed i “rhyton” argentei a forma di protome animale rinvenuti nell’attuale Romania.

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    L’unico modo che abbiamo per spiegarci almeno in parte questi fenomeni eccezionali è quello di comprendere che l’arte nasce dall’arte e che in qualche misura tutta l’arte è di derivazione: in un certo momento storico si determina una temperie culturale e perciò non solo artistica, in cui l’arte manifesta la sua capacità di interpretare e di rappresentare anche simbolicamente una società.


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    A questa categoria di problematiche l’architettura, cercando di dare soluzioni formali e funzionali ma anche sociali, simboliche etc. fornisce risposte non sottraendosi dal partecipare ma anzi finendo per interpretare in modo evolutivo e leggibile proprio la rappresentazione culturale di quel momento storico.

    Certo l’architettura abbandona la sua naturalità totale nel momento in cui esce simbolicamente dalle grotte e dalle capanne per edificare; questo fenomeno peraltro non si è ancora verificato in molte parti del mondo e ha dato luogo a manifestazioni straordinarie da Altamira a Lescaux fino agli insediamenti rupestri del medioriente e nostrani, si pensi ai rifugi degli anacoreti basiliani o ai Sassi di Matera e alle cripte devolute a usi religiosi diffuse un po’ ovunque dal Gargano alla Maiella.

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    Un primo carattere perciò è facilmente individuabile nei materiali costitutivi: il mattone di terracotta è di per sé e nel modo in cui viene impiegato e a seconda dello spessore e della qualità delle malte, un elemento grammaticale ma allo stesso tempo sintattico dell’architettura; per millenni, insieme alla pietra da taglio di varia qualità e natura, non sempre peraltro reperita sul posto ma fatta venire anche da luoghi geograficamente assai lontani, ha rappresentato e ancora oggi rappresenta l’elemento di base di ogni costruzione; al suo fianco si sono diffusi altri elementi e materiali non appartenenti, del tutto o in parte, al mondo naturale: essenzialmente l’acciaio e il calcestruzzo a base di cemento.
    A parte questo però si può ben dire che la costruzione di un edificio, soprattutto in quanto dimora dell’uomo e delle sue attività, ancora oggi avviene nell’ambito dello sfruttamento di risorse fornite dalla natura.
    Certo il panorama attuale richiede degli aggiornamenti del concetto di materia e di natura. Non so fino a che punto si possano definire naturali grattacieli di acciaio e cristallo che più che negli elementi che li compongono, sembrano opporsi o per lo meno distinguersi dalle leggi stesse della fisica.
    Forse il tempo renderà merito o più probabilmente giustizia a queste estremizzazioni dell’arte di costruire e abitare ben considerando che la deperibilità di certi allestimenti è destinata a non figurare almeno cronologicamente sulle pagine della storia.

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    Ma non tutta l’architettura va riguardata solo sotto il profilo dei materiali: lo stesso cemento armato anche per il modo in cui viene posto in opera e usato nella Chandigar di Le Corbusier o i mattoni negli edifici di Louis Kahn sembrano divenire compatibili e appartenere a una nuova dimensione in cui la natura è reinterpretata nella forma e nella sostanza per le finalità del vivere in sintonia con l’ambiente delle nuove concentrazioni urbane.

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    A fronte degli eccessi di positivismo tecnologico che pure ci sono e fanno parte del panorama contemporaneo, appare tuttavia significativo il gusto attuale del ritorno a una dimensione di recupero degli stilèmi originari di civiltà e costumi meno avanzati e compromessi di quelli occidentali: piccoli segnali distinguibili nell’uso di materiali “etnici” ovvero poveri e in genere orientali, già copie di modelli derivati dal colonialismo europeo e pertanto “copie di copie” che contribuiscono a sfrondare il mercato da eccessi di consumismo, pur sempre delineando anch’essi tendenze che divengono mode fagocitate dal sistema.

    Anche nuove sensibilità verso il risparmio energetico, il riuso e il riciclaggio finalizzati a ridurre l’impatto sull’ambiente, il gusto, anch’esso di derivazione orientale, di assumere disposizioni che appaiono in sintonìa con i cicli naturali sono segnali non trascurabili di un mondo che vuole rileggere le proprie condizioni dell’esistere e rivederle in termini più consoni all’ambiente.
    Determinanti a tale riguardo appaiono gli importanti sviluppi  che in questi ultimi anni ha avuto il settore del restauro che ha indotto una rinnovata conoscenza dei materiali, delle tecniche e delle tecnologie dell’antico. 

    La grande quota di edificato attribuibile all’edilizia con età che va dai cinquanta fino ai mille anni indietro, in Italia quantificabile molto approssimativamente in un cinquanta per cento, richiede continue cure e manutenzioni la cui assenza induce purtroppo i drammatici avvenimenti cui assistiamo, spesso per cause dovute a catastrofi che sembrano ricordarci la nostra distrazione rispetto ai fenomeni con cui storicamente l’uomo ha dovuto fare i conti da sempre.

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