La DOCG Brunello di Montalcino
Dopo aver messo insieme un quadro, sia pur schematico, delle vicende attraverso le quali si è giunti all’attuale assetto geologico e morfologico della Toscana, torniamo ai rapporti tra geologia e viticoltura.
Ascoltiamo cosa si dice in proposito nell’introduzione al capitolo dedicato ai vini della Toscana del volume Geologia dei vini italiani: Italia centrale. L’analisi è del professor Roberto Colacicchi, dell’Università di Perugia, esperto della Geologia dell’Appennino centrale e fine conoscitore dei vini toscani e umbro-marchigiani.
Rapporti fra la Geologia toscana e la viticoltura
A nord dell’Arno, la zona Apuana è l’unica in cui la viticoltura è poco sviluppata. Vi sono solo due piccoli areali DOC: nella Lunigiana (Colli di Luni) e nell’estrema Versilia (Candia dei Colli Apuani), poi le caratteristiche morfologiche del terreno non rendono possibile la viticoltura estesa. Siamo nelle Alpi Apuane.
Nella Toscana centrale, regno indiscusso delle varie DOC e DOCG del Chianti, le arenarie delle unità toscane (note come arenarie Macigno), le sabbie e le argille marine del Pliocene e le argille dei grandi laghi estinti costituiscono l’elemento principe per la viticoltura che sfrutta tutti e tre i terreni suddetti, spingendosi anche a notevoli altezze sui Monti del Chianti, e occupando tutta la fascia pedemontana sud-occidentale del Pratomagno fino a quota 500 m circa.
Proprio al centro della regione chiantigiana, circa in corrispondenza dell’areale del Chianti Classico, esiste una vasta zona in cui elementi delle falde toscane e delle falde liguridi sono più che altrove affiancati e frammisti senza un ordine apparente.
Nella Toscana marittima non esiste un’unica formazione che domini la zona. Varie unità liguri sono mescolate e alternate a quelle della falda toscana, fra cui più evidenti sono plaghe di arenarie Macigno e rocce più antiche, triassiche e giurassiche.
In questa zona la viticoltura si è espansa a macchia d’olio, sfruttando tutto il possibile, quindi lasciando vuota solo una fascia allineata NO-SE (Volterra, Pomarance, Bocchegiano, Roccastrada), corrispondente alle Colline Metallifere e alla zona geotermica di Larderello.
La vicinanza del mare che mitiga il clima, il riparo dai venti nord-orientali dato dalle Colline Metallifere stesse, il terreno generalmente sassoso, drenato e ricco in minerali hanno creato condizioni ideali per sperimentare nuove soluzioni vinicole con risultati talora sorprendenti.
Più a sud, oltrepassata la piana alluvionale recente dell’Ombrone, presso Grosseto, continua la varietà di terreni della Toscana marittima, con l’aggiunta di rocce vulcaniche del Monte Amiata e, all’estremo meridionale, delle propaggini dei vulcani Vulsini, che si sviluppano poi nel Lazio.
Anche qui di recente sono state istituite nuove zone DOC che hanno dato risultati eccellenti, come il Morellino di Scansano o l’Ansonica dell’Argentario, a testimoniare che la passione vitivinicola della Toscana è sempre più viva ed instancabile.
Come si è accennato, data la varietà dei terreni presenti in Toscana e nello stesso tempo l’enorme estensione delle zone coltivate a vite, non è possibile individuare substrati esclusivi per la vite.
Certo, se si confronta una carta della distribuzione delle zone DOC con una carta geologica, si nota immediatamente che le formazioni su cui sono più sviluppati i vigneti sono le arenarie Macigno e le argille sabbiose plio-pleistoceniche. E’ anche vero che queste due sono le formazioni più estese della Toscana, quindi è naturale che percentualmente rappresentino le zone più vitate.
Ma i vigneti toscani si sviluppano su qualunque terreno e spesso con risultati eccellenti. Se si vuol capire il perché di ciò è necessario prendere in considerazione il fatto che i terreni migliori per la coltivazione della vite sono i terreni collinari; dal momento che la fascia collinare è estremamente estesa, la viticoltura toscana ha avuto amplissime possibilità di sviluppo, e sulle colline si è avuta la sua massima estensione: sono evitate solo le zone montuose più elevate e le zone alluvionali depresse.
Ogni angolo della Toscana è stato sfruttato per la viticoltura. Per ogni zona è stata studiata la combinazione ottimale fra le quattro componenti fondamentali: terreno-clima-portainnesto-vitigno, utilizzando in un primo tempo i vitigni antichi della zona (Sangiovese, Canaiolo, Malvasia, Trebbiano), successivamente i vitigni derivanti da altre regioni italiane o dalla Francia e dalla Spagna (Cabernet, Merlot, Alicante ecc.).
I risultati sono evidenti: la vivacità, la professionalità e la passione dei viticoltori toscani ha fatto sì che il ribollire delle idee sia una caratteristica tipica della Toscana.
Concludendo: la geologia della Toscana mostra terreni e situazioni le più svariate, ma questo stato di cose non mette in difficoltà la viticoltura, anzi, come vedremo in seguito, sembra che la migliore produzione si concentri proprio in quelle zone in cui i terreni sono più variabili e sembrano geologicamente più “disorganizzati”.
In breve, la frammentazione e il miscelamento dei vari tipi di terreni, la loro geometria “a blocchi” realizzatasi nella fase di sprofondamento della primitiva catena montuosa, che ha dato origine all’ampia piana collinare, l’invasione e il ritiro di un mare poco profondo, che ha abbandonato estesi depositi sabbiosi e argillosi: tutti questi fattori hanno donato alla regione un vasto anfiteatro, con una splendida esposizione, aperto verso il mare e protetto da rilievi verso Est.
Le condizioni climatiche e la passione dell’uomo hanno fatto il resto e la vite si è espressa a livelli di grande qualità.
Una prova? Scendiamo le colline che si estendono tra Firenze e Siena e che da un punto di vista enologico hanno un nome ben noto: Chianti. Pendii dolci, clima ideale per la vite, al riparo dai venti freddi di nord-est, grandi distese di arenarie Macigno (ottime soprattutto dove sono in strati sottili e con granuli più fini) e di argille sabbiose marine.
Verso sud, nella parte terminale dell’areale del Chianti, una modesta zona collinare è stata riconosciuta fin dal 1980 come DOCG dedicata, con un nome noto in tutto il mondo enologico: Brunello di Montalcino. I pendii dolci e le forme morbide del paesaggio salgono dai 200 metri del fondovalle a circa 600 metri di Montalcino.
Delimitata dalle valli dei fiumi Ombrone e Orcia e da alcuni loro affluenti, l’area non è molto estesa, circa 243 kmq, ma vi affiorano diversi tipi di rocce, che offrono, in piccolo, un «riassunto» della storia geologica della Toscana.
Aiutiamoci con una carta geologica. Un mantello di argille e sabbie lacustri e marine riveste ampiamente le pendici di nord-est e di sud-ovest dell’area: sono i depositi del mare che è avanzato fino ai Monti del Chianti e che, essendo formati da sedimenti facilmente erodibili, sono stati facilmente incisi dai fiumi. Lungo la diagonale da nord-est a sud-ovest del piccolo rilievo, dalle sabbie emergono le rocce delle unità toscane e liguri, accatastate in una pila che prosegue in profondità.
Più in particolare, nell’angolo di sud-est affiorano i terreni delle unità toscane, con le arenarie Macigno, sulle quali sono scivolate pile di calcari marnosi.
Salendo in quota e procedendo verso nord-est, affiorano le unità liguri, che hanno sormontato i terreni precedenti e che arrivano, verso nord-ovest, fino alla valle dell’Ombrone.
Una parte di queste unità sono fortemente «scompaginate» e affiorano come un ammasso disordinato di strati sottili argillosi di vari colori; la parte più estesa, lungo il declivio tra Montalcino e la Valle dell’Ombrone, è costituita, invece, da terreni formatisi nel settore dell’antico oceano più lontano dalla costa, e vi affiorano strati sottili di calcari e argille calcaree grigie, con livelli di selce.
L’affioramento sul fondo della valle è formato da ofioliti: basalti e rocce simili, di colore verde scuro, che rappresentano frammenti dell’antica crosta oceanica trascinati (i geologi dicono «imballati») nelle rocce circostanti. Il piccolo rilievo composto da questo mosaico di rocce di età da antichissime a recenti, trasformate in superficie in suoli e rivestito di vigne, è diventato un magico alambicco, capace di distillare il «divino Moscadelletto di Montalcino», come cantava nel ‘600 il famoso scienziato-letterato Francesco Redi, nel suo Bacco in Toscana…