Se, nell’azione, i movimenti artistici d’avanguardia assunsero immediatamente posizioni radicali e un preciso ruolo antiborghese, vi sono tuttavia aspetti che nel loro svolgimento rivelano il paradosso del compromesso con forze conservatrici che, dal punto di vista sociale, aggregarono l’avanguardia artistica alla parte più consolidata dell’establishment: l’aristocrazia.
Se ci affidiamo ai dati statistici che ci rivelano come oggi siano ormai decine i violinisti al mondo in grado di affrontare con sufficiente padronanza i proibitivi Capricci paganiniani a cui durante l’Ottocento pochi osavano avvicinarsi, dovremmo dedurne che la lezione del genovese sia ormai stata da tempo assimilata e privata di quel carattere di eccezionalità che ne motivò l’ascesa.
Oltre alla fiaba per bambini Pierino e il lupo, i colpi ben messi a segno da Prokof’ev potrebbero essere anche i balletti Romeo e Giulietta e Cenerentola, la marcia da L’amore delle tre melarance e molti altri momenti di uguale profilo. È la smentita più palese del luogo comune che pretende la musica moderna completamente estranea al vivere ordinario, concetto che ovviamente corrisponde a una ben precisa e nuova realtà estetica sviluppata nel secolo che ci sta alle spalle ma che non rende ragione di tutto quanto esso musicalmente ha prodotto.
Come molti musicisti cresciuti in Svizzera Frank Martin si affacciò subito sulla scena musicale con sembianze eclettiche. La matrice francese si lascia riconoscere nei suoi primi saggi a volte in modo fin troppo limpido – come dimostra la Pavane couleur du temps (1920) dove la lezione raveliana appare assai più che una reminiscenza –, senza tuttavia implicare un allineamento nei confronti di acquisizioni culturali organicamente delineate nel contesto europeo.
In una cronaca di Napoli del 1898, in occasione di uno dei ritorni di Francesco Paolo Tosti nella città della sua formazione, Matilde Serao ne parlava in questi termini: “Ah, egli è sempre per noi, per tutti, l’autore di quelle appassionate romanze che sono Carmela e Dopo!..., che sono Vorrei morire! e Malia, l’autore di quelle romanze aggraziate, delicate che sono L’Ideale, L’Aprile, Chanson à Ninon, l’autore di quel pensiero musicale All’alba che ha in sé tutto l’ardore segreto di un sogno, tutta la delusione della realtà, ma il suo spirito d’arte si è sollevato a regioni più chiare e fresche e serene […] gli domandammo che ci ripetesse i suoi più antichi trionfi, gli cercammo, avidamente, che ci ridonasse, nel canto delle sue vecchie cose, di quelle che hanno fatto e che rifanno, anche adesso, il giro del mondo, le impressioni degli anni trascorsi e nella immaginazione e nella memoria, noi le ritrovammo, vivaci e limpide, come allora”.
La Sonata in sol min. op. 22 di Schumann fu iniziata nel 1833 e portata a termine nel 1839, compiuta quindi prima dei trent’anni nel periodo in cui il compositore maturava in piena e polemica libertà l’ideale di una musica romantica preoccupata di rompere qualsiasi tipo di convenzione che la potesse legare al passato.
È difficile trovare in tutto l’Ottocento personaggio più incollocabile di Bruckner, musicista che fu capace di lasciare un segno nella storia rimanendone fuori della porta come derelitto che nessuno comprese mai appieno nella sua ingenua vicenda artistica.
Fra gli autori che hanno avuto giustizia solo nel Novecento figura certamente Antonio Vivaldi, il cui nome ha cominciato a installarsi nei repertori grazie all’azione di isolati ricercatori (Arnold Schering, Marc Pincherle) e alle iniziative dell’Accademia Chigiana di Siena a partire dal 1939. È quindi da meno di un secolo che, dietro il suo nome, ha preso corpo la nozione di una musica che oggi sovrasta prepotentemente qualsiasi altra manifestazione del Settecento italiano.
Alla gioviale cerchia del divertimento musicale cresciuta intorno a Schubert il modo innocuo in cui si profilava, sulla spinta della gioia di vivere e dell’edonismo tipicamente viennese, non bastava a sottrarla all’attenzione dell’occhiuto capo della polizia Sedlnitzky. Una sera in cui Schubert con gli amici era riunito in casa di Johann Senn irruppero gli sbirri a perquisire l’appartamento. Ne nacque l’imputazione di appartenenza ad associazione studentesca illegale, partecipazione a una riunione vietata ed “emulazione della vita degli studenti tedeschi”. Schubert e altri se la cavarono con l’accusa di insulto a pubblico ufficiale. Senn fu arrestato e trattenuto in carcere per quattordici mesi. A distruggere la sua carriera era bastata la frase colta nel diario di un suo compagno: “Senn è l’unica persona che ritengo capace di morire per un’idea”. Nutrire fede in un ideale a quel tempo e in quel luogo era una colpa che poteva stroncare il destino di un individuo.
L’Italia, si sa, fu una delle ultime nazioni in Europa a costituirsi politicamente in quanto stato. Mentre i regni di Francia, di Spagna e d’Inghilterra possono vantare un’esistenza secolare, essa ha atteso secoli per superare i particolarismi e, avendo raggiunto l’unità politica solo nell’Ottocento, è da considerare una “giovane” nazione che la storia successiva oltretutto (le guerre coloniali, la prima guerra mondiale, il fascismo e la resistenza) ha rivelato incompiuta nel suo “risorgimento”.