• "FRAMMENTI E COLLAGE"
  • 25 Settembre 2017

    La camera chiara

    Un giorno, molto tempo fa, mi capitò sottomano una fotografia dell’ultimo fratello di Napoleone, Girolamo (1852).
    In quel momento, con uno stupore che da allora non ho mai potuto ridurre, mi dissi: “Sto vedendo gli occhi che hanno visto l’Imperatore”.

     

    A volte mi capitava di parlare di quello stupore, ma siccome nessuno sembrava condividerlo, e neppure comprenderlo (la vita è fatta di piccole solitudini), lo dimenticai.

    Il mio interesse per la Fotografia assunse così una coloritura culturale.
    Decretai che amavo la Foto in opposizione al cinema, da cui tuttavia non riuscivo a separarla.

    Questo problema persisteva. Nei confronti della Fotografia, ero colto da un desiderio “ontologico”: volevo sapere ad ogni costo che cosa era “in sé”, attraverso quale caratteristica essenziale essa si distingueva dalla comunità delle immagini.

    Un siffatto desiderio voleva dire che in fondo, al di fuori delle evidenze derivate dalla tecnica e dall’uso e malgrado la sua straordinaria espansione contemporanea, io non ero sicuro che la Fotografia esistesse, che essa disponesse di un suo proprio “genio”. (Roland Barthes)

    Così, in Camera chiara, Roland Barthes narra l’origine del suo interesse, la sua epifania per la Fotografia, materia che scandaglierà servendosi di categorie dal nome latino: Operator, Spectator, Spectrum, Studium e Punctum, l’elemento che viene ad infrangere lo studium, quello che, guardando una fotografia, “come una freccia, mi trapassa”.