Come una Semiramide nel cinema
Il mito Brigitte Bardot: rappresentazioni e biografia di una star moderna.
In accordo con la funzione dei miti, i quali con il dato reale intrattengono una relazione di tipo simbolico e, sovente, estetico, si delineerà una rappresentazione-rielaborazione analogica della figura di Semiramide. Ponendo come dato reale, ma già mitico e tuttavia anche storico1, la celebre regina assira, quest’ultima può infatti essere travestita nell’immagine della regina dei miti moderni, della diva delle mascotte, di colei che nacque magnifica orfana (nel mito della sua rappresentazione cinematografica) e che scelse di ritirarsi dalla scena della gloria quando il figlio da lei partorito di una bellezza intramontabile rischiava di esporla a morte simbolica, alla giovane età – per noi moderni, ma non per le creature del mito – di quaranta anni.
L’accostamento tra le due figure non si motiva dunque esclusivamente per una ragione generale di somiglianza rispetto alla costruzione del mito, che pure è importante e sulla quale si ritornerà: si possono riscontrare invece, curiosamente, una serie di vere e proprie affinità biografiche (sempre che si possa parlare di “biografia” per delle figure “semi-mitologiche”) tra le esistenze tramandate delle due stelle del nostro immaginario. Ci si riferisce, in particolare, alle tradizioni di Diodoro Siculo (tomo primo della Storia Universale), per quanto riguarda Semiramide, e alla filmografia, accompagnata dalle infinite glosse paratestuali, per BB. Un mito, infatti, consiste anche e soprattutto nelle sue varianti.
Il racconto più completo della vicenda di Semiramide risale alla Tarda Antichità, al I sec. a.C., nel quale visse lo storico greco Diodoro (che assume come fonte Ctesia di Cnido). Secondo tale tradizione, Semiramide fu la più celebre di tutte le donne conosciute: da una condizione umile raggiunse i fasti della gloria. Fu bambina allevata miracolosamente da colombi, dotata di una bellezza senza paragoni. Grazie alla sua intelligenza, ardimento e altre brillanti qualità, si impose nell’arte militare, partecipando all’assedio di città battriane vestita in modo tale che non si potesse distinguere se fosse uomo o donna, con una tenuta che le lasciava piena libertà di movimento, esaltandone nel contempo la grazia. Gli onori della regalità li raggiunse sposando - senza legittimità - il re assiro Nino (dopo aver abbandonato uno dei suoi generali, Menone, che si suicidò), il quale, dopo la sua morte, la lasciò unica sovrana dell’Impero. La città da lei costruita, la meravigliosa Babilonia, possedeva una fortificazione naturale, le paludi che la circondavano. Così il ponte più maestoso era ricoperto di assi di cedri e di cipressi e collocato su immense travi costituite da palme. Il palazzo reale era ornato da figure di ogni sorta di animali, figure dipinte con tanta perizia da sembrare vive. La stessa Semiramide era raffigurata a cavallo, nell’atto di lanciare un giavellotto contro una pantera… Fece poi costruire immensi parchi, nei quali si abbandonava a ogni sorta di piacere. Non essendosi mai sposata legittimamente per non perdere il privilegio regale, si circondava degli uomini più belli del suo esercito, che faceva sparire dopo aver accordato loro i suoi favori.
Regina delle montagne, fece incidere nelle rocce della Persia un’iscrizione che descriveva l’ascesa del suo esercito dalla pianura alla sommità di un monte. Desiderosa di lasciare un monumento immortale del suo passaggio e volendo facilitarsi il percorso verso la Persia, fece esplodere le rocce che lo ostacolavano, realizzando strade bellissime.
Le paci che stipulava non duravano mai troppo a lungo e lei era impaziente di segnalarsi continuamente per delle nuove imprese, alcune delle quali dotate di una genialità quasi infantile, come quella di voler imitare la silhouette degli elefanti per spaventare l’esercito indiano, del quale fu fiera persecutrice, riducendo in schiavitù i suoi abitanti e le sue città. Fu questa la guerra più dura: nello scontro con il re degli Indiani rimase anche ferita, riuscendo però a fuggire su un agile cavallo. Costretta alla ritirata, ritornò in Battriana. Di fronte alla cospirazione del figlio Ninia, scelse improvvisamente il buen retiro, ricordandosi della profezia di un oracolo, e fu come se fosse ricevuta dagli dei. Sovrana di tutta l’Asia, ad eccezione dell’India, concluse la propria vita all’età di sessantadue anni e dopo un regno di quarantadue.
Ora, non si sa se Semiramide si sia incarnata, a distanza di secoli, in Brigitte Bardot, ma certo le coincidenze tra i due destini non mancano, a partire dalla durata dei rispettivi “regni” (quattro decadi). Un breve excursus nella filmografia e nel personaggio della star sarà utile per identificare tale somiglianza.
Il percorso inizia da prima della nascita del mito BB, consacrato nel 1956 con Et… Dieu créa la femme (Piace a troppi, Roger Vadim). In Si Versailles m’était conté (Sacha Guitry, 1954), Brigitte non è nemmeno accreditata nel cast e interpreta una giovanissima mademoiselle di 17 anni alla corte di Versailles. Da personaggio anonimo, ma già bambina dotata di una bellezza sovrannaturale, frequentatrice di una corte, in qualche modo dunque predestinata a un avvenire regale, Brigitte diviene presto una giovanissima star, appunto nella prima collaborazione con il marito Roger Vadim, in un film il cui titolo - Et… Dieu créa la femme - prefigura immediatamente la nascita di un mito, la cui origine biblica si contamina con la figura di creatura pagana del personaggio.
La Juliette di Et…Dieu créa la femme è una bellissima orfana dal comportamento assai naturale, quasi selvatico, come si addirebbe a una “femme-enfant” o a una “femme-bébé” (secondo le definizioni di François Truffaut) allevata dai colombi. Vive circondata da animali (il suo preferito è il coniglio Socrate), sprigiona una sessualità naturale all’interno di una struttura mitica che, come sottolinea Simone de Beauvoir, si riassume in un certo numero di scene madri: «strip-tease, carezze eccitate, mambo»2. In particolare, la celebre danza erotica che anticipa l’epilogo del film è liberazione di energia, pura aggressività e desiderio, attentato alla società patriarcale, cavalcata di amazzone. Come ha scritto Ericka Knudson in un intrigante lavoro intitolato De l’amour, des femmes et de la Nouvelle Vague: reconfigurations culturelles et création d’une modernité filmique française (Dell’amore, delle donne e della Nouvelle Vague: riconfigurazioni culturali e creazione di una modernità filmica francese), «la ricorrenza e l’universalità della scena della danza, dello spettacolo del corpo femminile induce a vederla come un mito. È una scena nella quale il corpo femminile, nella sua prossimità con la natura, rappresenta la potenza della sensibilità selvaggia dell’istinto, minaccioso per l’autorità, dunque insopportabile, affascinante, minacciante. La scena si svolge nel sottosuolo di un bar – luogo “nascosto”, di rimozione – nel quale BB balla il mambo seguendo i ritmi primitivi dei musicisti neri, rinforzando la prossimità con l’istinto»3.
Sessualità moderna e sensualità classica: come ha sostenuto Alain Bergala, il personaggio di Juliette rimanda sia all’archetipo di Venere sia alla “chatte” (“gatta”), vale a dire a quel tipo di modella la cui immagine «non si irradia sulla tela, ma cattura il desiderio, entrando nel quadro per effrazione»4. Più in generale, la libertà del suo corpo danzante, il camminare quasi sempre scalza, lo spostarsi in bicicletta, i capelli al vento, la disponibilità all’amore e la scena della spiaggia esplicitamente rimandante al mito di Venere costruiscono «un personaggio liberatore nel cammino verso l’uguaglianza tra i sessi nell’economia amorosa»5.
Nel film di Vadim si avvia dunque il processo di fabbricazione di una star trascendente e moderna al tempo stesso. Nella sua figura si trovano, da un lato, le caratteristiche archetipiche di un mito femminile fuori dal tempo in grado di riattivare meccanismi di attrazione celati nell’immaginario collettivo, nonché la fissità di una maschera, nella quale, secondo Simone de Beauvoir, «il mondo esteriore non si riflette» e dalla quale «non traspaiono emozioni intime». «Senza memoria, senza passato, ella ritrova, grazie alla sua non-coscienza, quella perfetta innocenza che si attribuisce tipicamente all’infanzia»6. Questa naturalità, o naturalezza, si combina, d’altro lato, con le regole “storiche” di uno star system che deve necessariamente dialogare con il proprio tempo, anche in forme di velata contestazione (e, come ha notato Antoine de Baecque, Juliette esprime «una condotta del tutto indipendente dai precetti morali della società francese del dopoguerra riguardanti la famiglia, l’amore, la sessualità»7).
Nel breve documentario di Jacques Rozier Paparazzi (1964), realizzato durante la lavorazione di Le Mépris (Il disprezzo, Jean-Luc Godard, 1963), Brigitte Bardot appare invece in guisa di dominatrice dei faraglioni di Capri: il suo mito appare rafforzato dagli occhi dei paparazzi che la immortalano di nascosto. In modo simile, Semiramide si circondava di scenari naturali nei quali costruiva delle grandi opere di diletto e di ingegneria per manifestare agli occhi dei sudditi e dei nemici la sua potenza. Nella modernità il mito passa attraverso l’effimero degli scatti fotografici, veicolo di gloria presente e futura. Il documentario di Rozier testimonia che il racconto del mito, la sua fabbricazione, sono un paratesto altrettanto fondamentale del testo, costituito unicamente dai film.
L’immagine di Semiramide appare in tralice in diversi altri episodi della carriera di BB. Per esempio, in Babette s'en va-t-en guerre, commediola poco nota del 1959 diretta da Christian Jacque, interpreta una guerriera in chiave parodistica, più precisamente un’ingenua ragazza di campagna incaricata di rapire un generale tedesco paracadutandosi nella Francia occupata.
Invece, in Don Juan ou Si Don Juan était une femme... (1973), sorta di remake di Et… Dieu créa la femme, sempre diretto da Vadim, è la reincarnazione femminile di Don Giovanni, una conquistatrice e una consumatrice di uomini. Trattandosi della penultima tessera della filmografia di BB (che si concluderà proprio quell’anno), lo si può considerare come un bilancio della sua epopea di eroina della seduzione.
Altri aspetti comuni tra i due personaggi si possono ricavare a partire dalla descrizione del mito Bardot dal punto di vista della “sindrome di Lolita” effettuata da Simone de Beauvoir nel celebre saggio del 1960: «BB è l’esemplare più completo di queste ambigue ninfe. Visto di spalle, il suo corpo di ballerina, minuto, muscoloso, è pressoché androgino: la femminilità balza esuberante dal suo busto incantevole; sulle sue spalle scende la lunga e voluttuosa chioma di Melisenda, acconciata però con una negligenza da selvaggia»8. Come si è detto, Semiramide compieva le sue imprese guerriere in una tenuta che non lasciava trasparire differenze di genere… Entrambe possono insomma essere considerate tipologie di “eroi femminili”, le cui caratteristiche fondanti non le distinguono dai corrispettivi maschili.
Ma la figura di Semiramide prende forma anche in diverse circostanze della biografia “reale” della star: si pensi alla quasi venerazione per gli animali testimoniata dalle note campagne in difesa degli orsi, delle foche e dei pinguini (le cui vicende acquisivano così una visibilità quasi sensibile, simile a quella assunta dalle rappresentazioni dipinte degli animali nella dimora della regina), alla consumazione di uomini celebrata attraverso le innumerevoli relazioni e i quattro matrimoni (se è vero che Semiramide non si sposò mai legittimamente per non perdere la regalità, di Brigitte si può dire che al contrario essa nutrisse la propria regalità circondandosi di mariti e di partner, i quali venivano subito offuscati dal suo astro…), all’atteggiamento guerriero, se non apertamente razzista assunto nei confronti degli islamici, un atteggiamento da mondo antico: oggi non sarebbero più gli Indiani i nemici da sottomettere e conquistare, bensì, nella Francia cosmopolita, i musulmani. Si pensi anche al disconoscimento dell’unico figlio, Nicolas-Jacques Charrier – una sorta di novello Ninia -, con il quale non ha rapporti. Come si vede, la bardolatria potrebbe facilmente essere trasformata in bardoclastia: se infatti – sosteneva Roland Barthes9 - ogni mito contiene nel linguaggio che gli dà forma il principio di distruzione, tale distruzione si compie a maggior ragione qualora, ed è questo il caso, la donna reale, storica, ambisca a confondersi con il proprio mito. Non a caso - ha scritto Ado Kyrou - «BB ha potuto mantenere il proprio mito recitando esternamente il suo personaggio»10 (corsivo nostro).
Come Semiramide, Brigitte Bardot è stata insomma donna in pantaloni (ma anche, come la regina, inventrice di abiti…), donna guerriera, amazzone e Don Giovanni al femminile. Fuori dallo schermo, è stata invece una Giovanna d’Arco che si è voluta figura contemporanea, appoggiando le derive del Front National, che in quel simbolo si riconosce (eppure nel film Babette s’en va-t-en guerre interpreta un’eroina della Resistenza…).
Ma Brigitte Bardot è anche, indiscutibilmente, uno dei miti fondativi della modernità, una modernità in primis “cinematografica”, tematizzata in diverse opere interpretate dall’attrice.
In due film di Louis Malle, Vie privée (1962) e Viva Maria! (1965), e soprattutto in Le Mépris di Jean-Luc Godard, vi è un’esplicita riflessione su tale mitologia moderna, che si distingue nettamente dai miti antichi, della loro iconografia sempre a rischio di fossilizzazione a causa del loro non esserci, per il fatto che il mito Bardot è quello di un corpo che agisce: «raramente elasticizzato nell’immobilità, esso cammina, danza, si muove»11. Ma si muove all’interno del mito che la circonda, che ha contribuito a fabbricare e nel quale è stato fabbricato. BB rifiuta di costituirsi «irraggiungibile idolo», vuole confermarsi bensì «a somiglianza dell’uomo»12.
In Vie privée si delinea un perfetto ritratto della star moderna, non più un essere sovrannaturale che il mito protegge da ogni contatto con la contingenza, bensì un essere umano che vive in rapporto contraddittorio, polemico e narcisista al contempo, con l’alter ego della propria immagine “fabbricata” di star. La stella del cinema è infatti una produzione perfettamente calata nella storia e legata alla contingenza di uno star system, garantito da dinamiche in primo luogo commerciali. Alain Bergala attribuisce il nome di «creatura» a quello che definisce il «miscuglio reale tra le attrici (anima e corpo) e il personaggio (l’astrazione, l’idea)»13, un rapporto “impuro”, specifico del cinema, nel quale la modella è anche il soggetto (l’attrice).
In questo va e vieni tra ascesa all’empireo della celebrità e riflusso nel valore mercantile di quest’ultima si gioca il personaggio che la Bardot interpreta in quasi tutti i suoi film e che in Vie privée di Louis Malle è esplicitamente tematizzato. Così nella sequenza conclusiva del film, interpretato da un altro personaggio-divo come Marcello Mastroianni (anzi, come la Bardot forse il persosonaggio-divo europeo dell’epoca), la regia di Malle disegna alla perfezione questa duplicità conflittuale della mitologia moderna, creando una dialettica tra la posizione sovrastante del personaggio di Jill, che ha un relais nella pièce che si svolge nella piazza di Spoleto nell’eroina kleistiana Catherina di Heilbronn, anch’essa divisa tra un’umile infanzia e una nobiltà dello spirito che la condurrà a nozze illustri, e l’attrazione pericolosa verso il basso esercitata dagli scatti dei paparazzi, che provocheranno effettivamente la caduta della dea, caduta che il cinema trasforma in un volo lirico che esalta l’aspetto trascendente della bellezza dell’attrice.
Del resto un mito è sempre fabbricato: come ha scritto Barthes, esso è un «sistema di comunicazione, un modo di significare, una forma»14. Solo che nell’antichità la fabbricazione del mito avveniva mediante il linguaggio poetico, laddove la poiesis è un fare artigianale che si esercita attraverso il medium astratto del racconto verbale, mentre nell’epoca della riproducibilità tecnica, esso deve passare attraverso un medium che è esso stesso tecnico, dunque di per se stesso anti-auratico. La star moderna è obbligata a convivere con la fabbricazione della propria bellezza: la sua divinità, o il suo divismo, si irradia attraverso la moltiplicazione della sua visione, e non più attraverso la trasmissione del mito. L’immagine infinitamente riproducibile sostituisce l’immaginazione perpetuabile nei secoli.
Mito fragile, mito moderno: «vivo come se dovessi morire da un momento all’altro», afferma la Juliette di Et… Dieu créa la femme. Frenesia del vivere, amore dell’assoluto, sentimento della fine incombente: caratteristiche eterne immortalate dalla mitologia romantica si combinano con la fugacità della celebrità tipica del mondo moderno e dell’arte moderna per eccellenza, il cinema.
In Le Mépris la messa in scena del corpo di Brigitte è in primis, storicamente, una riflessione metalinguistica sul ruolo distruttivo nei confronti del vecchio “cinéma de papa” (Truffaut) esercitato dalla recitazione di BB. Corpo attivo dunque, in grado di accrescere l’espressività dell’immagine filmica. Godard utilizza la recitazione corporea della star per costruire una storia su un corpo “mercantile”, espressione seducente e infima della modernità che distrugge la classicità del cinema impersonata da Fritz Lang e dal suo progetto di adattamento dell’Odissea.
In questo caso dunque il mito di Semiramide conquistatrice appare rigiocato attraverso dei procedimenti di stile (la messa in scena di un corpo che attraverso la propria sensualità conquista l’immagine e distrugge i procedimenti convenzionali di rappresentazione della star all’interno di un racconto “classico”): è proprio tale riscrittura che costruisce la modernità del mito. Più in superficie, al livello del plot, si può notare che il personaggio è una dattilografa, mestiere “umile” che richiama un desiderio di ascensione sociale, e che Camille abbandona lo sceneggiatore, una sorta di generale del re-produttore (e quanti re ha conosciuto o sposato BB, a partire dal regista Vadim), per morire in un incidente nella macchina di quest’ultimo, con il quale avrebbe probabilmente intrapreso una relazione.
In Viva Maria! si ha invece la rappresentazione di un mito autoironico, derisorio, che mettendo in scena se stesso distrugge ogni verosimiglianza identitaria. Si tratta di un mito che si potrebbe definire “interrotto”, le cui imprese non seguono mai un andamento lineare. Qui la guerrigliera Bardot, accompagnata dalla compañera Moreau, impegnata nelle rivoluzioni di inizio Novecento contro eserciti di soldati uomini, prefigura un’altra rivoluzione, quella sessuale (siamo nel 1965). Una rivoluzione che avrebbe potuto insediare il potere femminile (ma che purtroppo non andò a buon fine).
Che tipo di diva è stata dunque Brigitte Bardot? E che cosa possono avere in comune una diva del cinema e una “diva” della mitologia femminile?
Come scrive Samuel Thomas, «il fenomeno del divismo è direttamente legato alla cultura di massa del Novecento e, in origine, al medium per eccellenza di questa cultura, il cinema»15. Com’è noto, sono esistite diverse tipologie di dive, in accordo con le configurazioni dell’immaginario – evidentemente maschile - delle diverse epoche storiche. Thomas ricorda la “donna-bambina” (Mary Pickford e Lillian Gish), la “donna fatale o vamp” (Theda Bara, Mae Marsh e Marlene Dietrich) e la “divina”, che «soffre e fa soffrire oscillando tra il mistero della donna fatale e la purezza della vergine innocente» (Greta Garbo e Lana Turner). Se la diva del muto appariva come un idolo che, sia nei film sia nella vita, appartiene a una sfera superiore rispetto a quella in cui vivevano gli esseri umani ordinari, un’eroina quasi divinizzata destinata a un pubblico soprattutto popolare, a partire dal 1930 le dive si umanizzarono. Dagli anni 40 il modello della donna-bambina si modificò progressivamente in quello della giovane compagna innamorata (Audrey Hepburn), la vamp in good-bad girl, una figura ibrida che dietro l’apparenza di donna fatale nascondeva un animo puro e un cuore generoso. La nascita di nuovi modelli femminili nell’immaginario cinematografico fu affiancata da un processo di erotizzazione delle star, che si avvalsero sempre più frequentemente del loro sex appeal (BB “la più sexy delle giovani star e la più giovane delle star sexy”, recitava uno slogan).
Proprio in questa trasformazione del divismo, di questa forma moderna di mitizzazione, sembra quasi potersi riscontrare il passaggio dal mito antico al mito moderno tout court: scrive Barthes, riferendosi a Greta Garbo (ma negli anni in cui stava per sbocciare il fenomeno Bardot): «il suo appellativo di Divina mirava indubbiamente a rendere, più che uno stato superlativo della bellezza, l’essenza della sua persona corporea, scesa da un cielo dove le cose sono formate e finite nella massima chiarezza. […] Bisognava che l’essenza non si degradasse, che il suo viso non venisse mai ad avere una realtà diversa da quella della sua perfezione intellettuale più ancora che plastica»16. Si può dunque affermare che all’interno del fenomeno moderno del divismo, l’irruzione di Brigitte Bardot e poi delle attrici della Nouvelle Vague abbia modernizzato ulteriormente questa categoria. BB non ha infatti più nulla dell’idolo, ombra ieratica, immagine pura delle prime dive, essa vive piuttosto in una sorta di consustanzialità tra la propria immagine illusoria, proiettata, cinematografica, e la propria carnalità sexy.
Una carnalità che continua a esistere anche quando la carne deperisce e il corpo è stato seppellito, se è vero che “i membri dell’Associazione Hollywood Underground si dedicano alla ricerca delle tombe di star recentemente decedute o alla rivisitazione delle sepolture di celebri attori del passato, le decorano di fiori, le fotografano e archiviano i negativi, disegnando una mappa di tombe diffusa nel web”17. Nessuno certo immaginerebbe di compiere una simile operazione per figure semi-mitologiche tramandate esclusivamente per via verbale, nessun bisogno di conoscenza feticistica dei dettagli della vita di Semiramide, o di qualsiasi mito dell’antichità (fatta salva forse la ricerca della Troia omerica da parte di Heinrich Schliemann…).
La grandezza e la modernità di Brigitte Bardot sono dunque consistite anche nella sua capacità di sintesi di una naturalità in qualche modo essenziale e una sensualità dell’hic et nunc. Come sottolinea di nuovo Knudson, l’immagine della Bardot donna-bambina va inquadrata all’interno della dicotomia vamp/gamine, «essendo queste due figure opposte entrambe legate alla Natura, e più precisamente all’immagine delle due facce della natura: la sua idealizzazione e la sua purezza in quella della gamine, il pericolo del desiderio femminile, il continente nero, in quello della vamp»18.
Di fronte a Brigitte Bardot, come di fronte a una donna mitica, «il pubblico, non potendo trasferirsi sullo schermo (come il personaggio lo inviterebbe continuamente a fare), diventa osservatore passivo»19, come l’ascoltatore di un mito, o il contemplatore di una tela. Come per la Semiramide del mito, si può condividere, per BB, l’augurio di Simone de Beauvoir, «di morire, ma di non cambiare»20.
In «Cinemasessanta», n. 309/310, luglio/dicembre 2011, pp. 57-65.
Note bibliografiche
1 Secondo gli storici, la figura di Semiramide (nome greco), anche se arricchita di elementi mitici, va identificata nella regina assira Sammu-ramat, vissuta nel IX secolo a.C.
2 Simone de Beauvoir, Brigitte Bardot and the Lolita Syndrome, Deutsch, Weidenfeld & Nicolson, London 1960 Brigitte Bardot (tr. it. Lerici, Milano 1960, p. 33).
3 Ericka Knudson, De l’amour, des femmes et de la Nouvelle Vague : reconfigurations culturelles et création d’une modernité filmique française, tesi dottorale da sostenersi presso l’Università “Paris Ouest Nanterre La Défense”, p. 381 (tutte le traduzioni da quest’opera sono nostre).
4 Alain Bergala, “Rapport au modèle”, Conferenza tenuta presso la Cinémathèque française di Parigi il 5 ottobre 2005, citata in ivi, p. 390.
5 Ericka Knudson, De l’amour, des femmes et de la Nouvelle Vague…, cit., p. 385.
6 Simone de Beauvoir, Brigitte Bardot, cit. p. 14
7 Antoine de Baecque, La NouvelleVague: Portrait d'une jeunesse, Flammarion, Paris 1998, p. 21.
8 Simone de Beauvoir, Brigitte Bardot, cit. p. 13.
9 Cfr. Roland Barthes, Mythologies, Seuil, Paris 1957 (tr. it. Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974).
10 Ado Kyrou, M.M./B.B. Miti paralleli, in Milena Gabanelli, Alessandra Mattirolo, Brigitte Bardot, Gremese, Roma 1983, p. 41.
11 Simone de Beauvoir, Brigitte Bardot, cit. p. 23.
12 Ivi, p. 24.
13 Alain Bergala, “Rapport au modèle”, cit., in Ericka Knudson, De l’amour, des femmes et de la Nouvelle Vague…, cit. p. 390.
14 Roland Barthes, Miti d’oggi, cit., p. 191.
15 Questa e le successive citazioni sono tratte da Samuel Thomas, Divismo, in Enciclopedia del cinema (vol. II), Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Milano 2003, pp. 342-349.
16 Roland Barthes, Miti d’oggi, cit., p. 64.
17 Samuel Thomas, Divismo, in Enciclopedia del cinema (vol. II), cit., p. 349.
18 Ericka Knudson, De l’amour, des femmes et de la Nouvelle Vague, cit., p. 368.
19 Simone de Beauvoir, Brigitte Bardot, cit. p. 31.
20 Ivi, p. 41.