Non c’è praticamente compositore del Novecento che abbia mancato di documentare la propria posizione estetica attraverso gli scritti. È questo certamente un segno della situazione della modernità avanzata che, per il fatto di avere in un certo senso anticipato i tempi cogliendo il pubblico impreparato, ha indotto i compositori a cercare di abbreviare le distanze con gli interlocutori impegnandoli a orientarli con parole programmatiche.
Nella storia della cultura non sarà mai abbastanza considerato lo sconvolgente segno lasciato dalla prima guerra mondiale. Non solo essa chiudeva il capitolo di un secolo che aveva cullato l’illusione del tempo fermato nelle sue estenuate forme di decadentismo e di epigonismo, ma aveva anche profondamente contribuito a mettere in crisi il principio di eurocentrismo, il cui venir meno rappresenta un fattore accostabile al processo di usura interna del linguaggio, per importanza nello sviluppo dell’arte musicale occidentale oltre le prospettive dissolutrici.
Il termine di film sonoro si contrappone a quello di film muto solo per il fatto di presentare una colonna sonora incorporata alla pellicola sullo stesso supporto di celluloide necessario alla proiezione delle immagini, mentre ciò non è il caso del secondo che, per aver conservato l’immagine separatamente dal suono, viene ancor oggi considerato e analizzato come fenomeno puramente visivo.
Ernst Krenek figura tra i compositori più significativi del Novecento. Dico “significativi” poiché fra i grandi non fu mai considerato, circoscrivendosi la sua rilevanza al decennio o poco più di vita della Repubblica di Weimar, all’esplosione modernistica della Berlino degli anni Venti, al verbo musicale radicale di cui fu il principale emblema fra i compositori tedeschi coevi; Hindemith, Weill, Wellesz. Furono gli anni del neo-oggettivismo”, della Gebrauchsmusik, della pretesa dell’arte di parlare dell’attualità e di farsi politica. Furono gli anni di un rinnovamento globale che per la Germania ebbe un significato particolare.
La relazione più diretta tra cinema e musica è verificata nella trasposizione filmica di opere musicali. Da quasi un secolo la commedia musicale americana è lì a dimostrare la solidità di un rapporto responsabile della creazione di un genere cinematografico reale e vitale.
C’è qualcosa di anomalo nella formazione di Goffredo Petrassi rispetto ai riferimenti che valgono per la media dei compositori moderni. Egli stesso, tracciando la propria biografia, mise in risalto la sua condizione di fanciullo cantore nei cori delle basiliche romane che importa evocare non solo per evidenziare come il marchio della sua religiosità musicale provenga da lontano, ma anche per mostrare come il suo avviamento al destino di compositore sia avvenuto non per scelta intellettuale ma sulla spinta di una consuetudine, in una forma integrata al sistema sociale come raramente è dato di riscontrare nella biografia dei compositori del Novecento.
Il volo di Lindbergh risale al 1929 e, come la Kleine Mahagonny fu presentato da Brecht e da Weill (ma anche Hindemith mise mano alla musica) al Festival di Baden-Baden. Immediatamente posteriore al successo dell’Opera da tre soldi, questo lavoro di più modeste dimensioni se ne scosta visibilmente.
Cosa significano per la musica i «ruggenti anni venti» del nostro secolo? Sicuramente poco rispetto alla memoria di eventi di storia, di costume, di cultura che di quel periodo hanno tramandato l’immagine di vitalismo, di frenesia, di fede nella tecnica e delle innovazioni portate dalla società di massa.
Personalità che segnò la rinascita dell'orgoglio ebraico in musica nel Novecento, Ernest Bloch (1880-1959) è compositore cosmopolitico per eccellenza. Ginevrino di nascita, formatosi a Bruxelles come violinista nella scuola di Eugène Ysaye, a Francoforte e a Monaco nella composizione sotto la guida rispettivamente di Iwan Knorr e di Ludwig Thuille, si affermò a Parigi nel 1910 con la rappresentazione del Macbeth, tappa iniziale della sua notorietà.
La caratteristica della musica di essere un linguaggio non ostacolato dalle frontiere linguistiche ha favorito più che mai i fenomeni di esportazione, rispettivamente di importazione, facendo prevalere date tradizioni nazionali su altre. Ben noto è il monopolio detenuto dalla musica italiana fino all’Ottocento, come altrettanto evidente risulta il dominio della musica tedesca a partire dal XIX secolo.